Turismo umbro, è la sagra dell'errore

Il commento del caposervizio della redazione umbra

Roberto Conticelli

Roberto Conticelli

Perugia, 4 settembre 2015 - Quanto a feste popolari e sagre paesane non ci facciamo mancare niente. Altro che le risalite del salmone: basta un po’ di fantasia e i prodotti del mare arrivano dritti dritti perfino a Colfiorito, nel cuore dell’Appennino umbro-marchigiano, sposandosi sapientemente con la patata rossa di quelle parti. Ma è sul piano dell’organizzazione generale che il turismo umbro latita assai. Seppure in un contesto generale di sostanziale ripresa, infatti, gli ultimi dati regionali danno conto di un settore che complessivamente considerato vale circa un decimo del volume totale della vicina Toscana.

Città d’arte, monumenti, cascate, paesaggi incontaminati, eppure il turismo incide sul Pil dell’Umbria per il 3% o poco più, cioè come l’ultimo dei settori marginali. Fin troppo evidente, dunque, come occorra superare in basso il concetto della sagra e in alto quello della mostra-exploit (stile fotografo McCurry, tanto per capire). C’è da noi, a ben vedere, un’offerta turistica di mezzo legata a monumenti apparentemente marginali, a borghi splendidi ma da sempre poco celebrati, a insediamenti naturalistici noti solo agli addetti ai lavori: un’Umbria esaltante ma non gestita, poco reclamizzata, a tratti addirittura celata alla vista del visitatore.

L’esoterico modello urbano della Scarzuola, il passato fossile di Dunarobba, la Narni sottotraccia, il rilassante verde di Corciano e tanto altro: dietro le quinte l’Umbria conserva splendori assoluti ma coperti dalla coltre dell’inefficienza. La grandeur francese celebra Oltralpe paesini antichi, gradevoli e certamente meglio organizzati: ovunque spunta un ufficio informazioni turistiche; nella verde Umbria, invece, capita che il Museo ricco di opere di livello mondiale sia chiuso nel giorno di massima affluenza turistica, con buona pace dei conti del turismo che qui non tornano mai.