di Giovanni Spano

Firenze, 7 maggio 2014 - Ultimi fotogrammi di vita insieme prima dell’orrore. Tutto in una giornata, domenica scorsa. Fino a metà pomeriggio Andrea Cristina Zamfir, la romena di 26 anni martirizzata in via del Cimitero a Ugnano, periferia di Firenze, è insieme al compagno, amico e coprotagonista d’una vita ai margini. Sono nella casa di via del Cavallaccio 1, zona S. Bartolo a Cintoia, a qualche chilometro dal luogo in cui la ragazza morirà di lì a poche ore. Anche lui è rumeno.

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Sono genitori di uno o due bambini, lasciati dai parenti in Romania. Hanno spazi propri in un rapporto segnato da un’esistenza borderline. Il compagno di Andrea Cristina è l’ultimo a vederla viva, prima dell’assassino. E quando lei decide di uscire di casa, sa dove vuole andare: tra Novoli e le Cascine, epicentri della prostituzione fiorentina. Più tardi la chiama: l’ultima chiamata sul cellulare intorno alle 22,30, ciao, cosa fai, quando torni, ci vediamo.

Un'ora più tardi Andrea, abbordata dall’aguzzino dai modi melliflui e convinta ad andare in un posto ‘appartato, ma tranquillo’, già rantola. Lo conferma una testimone che sente i suoi lamenti flebili. Nuda, seviziata fino allo sfinimento e crocifissa col nastro adesivo ‘targato’ Azienda ospedaliera universitaria Careggi a una sbarra sotto il cavalcavia dell’A-1: ‘mattatoio’ di prostitute e tossiche per quei precedenti accertati (2006 e 2013) più quelli sconosciuti alle cronache, e forse agli inquirenti, di cui parlano gli abitanti di via del Cimitero.

E di cui potrebbero parlare altre ragazze di vita che potevano fare la stessa fine. Il compagno della vittima è stato sentito a lungo dalla sezione Omicidi del vicequestore aggiunto Alessandro Ausenda, impegnatissimi — in una battaglia contro il tempo e contro il maniaco — a ricostruire minuto per minuto l’ultima giornata di vita di Andrea Cristina. Che non aveva un ‘vero protettore’: forse anche questo le è costata la vita.

‘Parla’ il cellulare della ragazza, recuperato come i suoi vestiti gettati a un paio di chilometri? «Parla poco» dice un investigatore. Ci sono nomi e numeri, forse anche di alcuni ‘amici’, ma lei e il maniaco seriale si sarebbero incontrati per la prima volta domenica: il che, se vero, rende oggettivamente più difficile risalire a un indizio su una persona che però lascia tracce.

La 46enne aggredita nel 2013 indicò sembra un tipo di auto. E descrisse così il maniaco: fisionomia, corporatura, tratti del volto, capelli (pochi), età possibile (50-60), occhi. E i carabinieri prepararono un identikit. Tornerà utile? Non solo, di quel fattaccio non finito in tragedia per la disperata voglia di vivere della donna pure lei denudata, seviziata, legata a croce, che urlò a squarciagola, resta anche un profilo genetico attribuito al maniaco: la sua saliva impressa sul nastro. E appena verranno isolate tracce sull’ultima scena del crimine, che poi è la stessa, si potrà fare il confronto.

Ma il Dna isolato nel 2013 intanto svela una verità: coincide con altri due campioni isolati in due distinti casi precedenti (uno a Prato) di violenza. Intanto oggi l’autopsia stabilirà la causa esatta della morte.

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