Da sindaco a presidente della Consulta: un protagonista del socialismo e delle istituzioni

Primo cittadino a Castel San Niccolò a 25 anni, segretario provinciale del Psi a 27. Poi deputato, segretario nazionale e ministro: il secolo lungo di Mauro Ferri

Mauro Ferri

Mauro Ferri

Arezzo, 30 settembre 2015 - Se ne va con Mauro Ferri l'ultimo protagonista di quella che fu l'epoca d'oro della politica aretina. Dall'immediato dopoguerra fino agli anni '70 e anche oltre, figure le cui radici locali si specchiavano nella statura nazionale acquisita nelle istituzioni e nei partiti: Amintore Fanfani, più di tutti, un personaggio la cui levatura si percepisce sempre più man mano che il giudizio politico si fa storico, Brunetto Bucciarelli Ducci, Giuseppe Bartolomei. Presidenti del consiglio, presidenti della Camera, ministri, segretari di partito. Ecco, anche Mauro Ferri era di quella stazza lì e l'ha dimostrato in una carriera che lo ha visto salire da sindaco di un paesino casentinese a segretario provinciale di un partito, da deputato a segretario nazionale, da ministro a giudice costituzionale e infine a presidente della Consulta. Un protagonista del socialismo italiano e delle sue travagliate vicende, riunificazioni e scissioni.

Ferri, a dire il vero, e come lui stesso amava ricordare con un pizzico di civetteria, aretina lo era soltanto di adozione e di origine paterna. Ma qui si fece le ossa politiche e qui spiccò il volo verso il grande viaggio nella politica e nelle istituzioni. I novantacinque anni del suo secolo lungo che si snoda fra due millenni cominciano a Roma, dove nasce da padre di Castel San Niccolò nel 1920. Si laurea in legge alla Sapienza nel 1942 ed è subito impegnato nella Resistenza della capitale. Lo arrestano per propaganda antifascista nel gennaio 1944 e quando viene liberato si trasferisce nel paese paterno, Castel San Niccolò, di cui diventa sindaco nel 1945, dopo la Liberazione.

Ma una personalità così spiccata non è fatta per consumarsi nella politica di paese. Iscritto, al Psiup, come si chiamva il partito socialista prima della scissione di Palazzo Barberini del 1947, diventa già nel 1947, a soli 27 anni, segretario provinciale del partito socialista, ancora dibattuto fra tentazioni autonomiste e alleanza frontista con il Pci. Quello dalla provincia al capoluogo è solo il primo salto della sua straordinaria carriera. Dal 1951 è consigliere comunale a Palazzo Cavallo e capogruppo socialista, dal 1953 deputato della circoscrizione Arezzo-Siena-Grosseto. Nè gli mancherà l'elezione anche in consiglio provinciale. Dal 1949 fa parte del comitato centrale socialista.

Intanto, gli ha messo gli occhi addosso Rodolfo Morandi, singolare figura di dirigente del Psi, di cui con Pietro Nenni è uno dei massimi esponenti, convinto che il futuro del partito stia nella creazione di un apparato di funzionari sul modello comunista. Ferri, che di professione fa l'avvocato penalista, sarà uno degli uomini di quell'apparato, in un paese in cui è ancora fortissima la spaccatura fra la coalizione centrista intorno alla Dc e le sinistre. E' l'inizio, a sinistra, di un percorso che lo vedrà progressivamente spostarsi verso posizioni sempre più riformiste e socialdemocratiche.

Il Psi, mentre lui continua ad essere rieletto alla Camera, avvia il suo percorso di emancipazione dall'alleanza con il Pci: sono i prodromi del centrosinistra, che si sviluppa dal 1960 in avanti, fino al 1964 dell'ingresso organico nel governo Moro, e della riunificazione fra le due famiglie socialiste separatesi a Palazzo Barberini. Finalmente nel 1966 i due partiti si fondono nel Psu, partito socialista unitario, di cui Ferri, convinto assertore del progetto, è uno dei segretari nazionali.

La riunificazione, però, non regge al pessimo risultato elettorale del 1968, le tensioni si fanno sempre più evidenti, finchè nel 1969 non si arriva ad una nuova scissione. Ferri, nonostante il suo punto di riferimento politico, Nenni, scelga il risorto Psi, resta con i socialdemocratici del Psu, che nel 1971 torna a chiamarsi Psdi. E' lui, che paradossalmente viene dalla sinistra socialista, il segretario nazionale. Già lo aspetta, però, un nuovo incarico, quello di ministro dell'industria nel secondo governo Andreotti, ritorno alla coalizione centrista con esclusione del Psi di De Martino, che ormai teorizza gli equilibri più avanzati a sinistra, verso il Pci.

Nel punto più alto lo attende il brutto incidente di percorso dello scandalo dei petroli, che indurrà il parlamento a varare la prima legge sul finanziamento pubblico dei partiti. Insieme ad altri esponenti di governo viene accusato a fine 1973 di aver percepito fondi neri dall'Unione Petrolifera per orientare la politica energetica nazionale. La commissione inquirente, il tribunale dei ministri dell'epoca, apre un'indagine a suo carico nel 1974, ci vorranno cinque anni perchè venga deliberata la sua estraneità all'accusa.

E' lo stesso 1979 in cui Ferri viene eletto, sempre per il Psdi, parlamentare europeo. Ormai è quasi fuori dalla politica attiva ma la sua esperienza di giurista ne fa un candidato alla corte costituzionale, di cui farà parte, con nomina del presidente della repubblica Cossiga,  dal 1987 al 1996, negli ultimi mesi come presidente, massimo incarico istituzionale ricoperto da chi era partito come sindaco di Castel San Niccolò. L'ultimo ventennio, dopo l'addio alla Consulta, è quello del ritiro e della vecchiaia. I vecchi rapporti, però, non vengono meno, Ferri torna alle radici.

Nel 1996, dopo Fanfani, anche lui viene nominato cittadino onorario di Arezzo con una cerimonia in consiglio comunale. Parte della sua biblioteca, in particolare la sua straordinaria collezione in dieci volumi del "Moniteur universel", organo ufficiale del governo negli anni della Rivoluzione francese, dal 1789 al 1799, va alla Biblioteca della facoltà di lettere del Pionta.

Ora l'addio, a un'età avanzatissima, dopo una vita piena come poche, dopo che se ne erano già andati Fanfani, Bucciarelli Ducci, Bartolomei, suoi colleghi, a volte avversari, a volte alleati, della Democrazia Cristiana. Tutti loro potrebbero dire, citando il Principe di Salina di Tomasi di Lampedusa: noi fummo i gattopardi e i leoni. Difficile ritrovare figure politiche della loro altezza.

Salvatore Mannino