La mostra di Azzoni: la forza del colore e quei legni strappati ai treni

Fino a domenica 5 novembre nell’atrio d’onore della Provincia in via Ricasoli ad Arezzo sculture e dipinti dell'artista aretino

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Arezzo 4 novembre - IL LIBRO dei visitatori è forse la prima vera guida alla mostra di Giuliano Azzoni, fino a domenica 5 novembre nell’atrio d’onore della Provincia in via Ricasoli ad Arezzo. «Bello il rosso» scrive con punti esclamativi un bambino. E’ vero, gli affreschi della sala scompaiono accecati da una lunga tela rossa srotolata dietro ai dipinti. E come un imbuto quel rosso ti risucchia in un viaggio istintuale dentro la mente, dentro l’anima, dentro l’ispirazione e l’esistenza di un artista che non c’è più. Ad accogliere i visitatori c’è il figlio Marco che sta riordinando e riproponendo le opere del padre. Ad Arezzo ha portato quelle più facilmente trasportabili, i disegni in acrilico e pastelli, le sculture in legno come il cavallo (un copertina nel catalogo) e le donne, strappate al durissimo legno delle traversine da ferrovia. Il resto è tra la casa di Loro Ciuffenna e di Palazzo del Pero. Là sono rimaste le grandi sculture in pietra e legno, i Crocifissi modellati con forza, tenacia, quasi disperazione. Qui c’è il colore, forte, geometrico, violento, ispirato dai dipinti di Pompei, antico e ancestrale, quasi tribale. Ci sono donne, volti, espressioni, simboli sensuali. Ci sono le geometrie. Un «patito della materia» scrive Liletta Fornasari nel catalogo parlando di Azzoni come un «talento geniale». Chi lo ha conosciuto ricorda come si avventasse su pietra, legno, ferro, alluminio ferendosi senza accorgersene, con istinto e passione, con l’esigenza di esprimere il proprio io più profondo con la sua luce e il suo buio. «La scultura di Azzoni è anche il vuoto che circonda gli oggetti, l’aria che è rimasta che ancora racchiude l’eco della fatica e della forza. E’ la polvere, sono le scorie che si attaccano ai vestiti e alla pelle», quell’opera «che vorrebbe che uscisse come un urlo» è la suggestione dell’amico Mario Rotta. C’è solo un modo per capire Azzoni: vedere e «sentire» il suo mondo, che è ancora tutto lì.

Silvia Bardi