De Chirico scultore, mostra per celebrare i 130 anni dell’artista

Inaugurazione sabato alle 18 nell'atrio d'onore del Palazzo della Provincia con le opere meno note e le famose "muse" arrivate in questi giorni

muse de chirico

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Arezzo 12 gennaio 2018 - A 130 ANNI dalla nascita e a 40 anni dalla morte di Giorgio de Chirico, Arezzo lo ricorda con una mostra del suo lavoro meno noto: la scultura. L’esposizione «Giorgio De Chirico. La scultura» sarà inaugurata sabato alle 18 nell’ atrio d’onore del Palazzo della Provincia di Arezzo con Lucia De Robertis vicepresidente Consiglio Regione Toscana, Roberto Vasai presidente della Provincia, Pasquale Giuseppe Macrì di Ars Nova, Andrea Sereni vicepresidente Camera di Commercio, il curatore Fabio Migliorati. Una mostra promossa dall’associazione Arezzo Ars Nova di Pasquale macrì e Rossella Peruzzi che si avvale della collaborazione di Margherita Fava e di Giuseppe Modeo e che resterà aperta fino al 4 marzo. Una decina le opere in esposizione, tra le quali due monumentali di circa tre metri. «L’uso dell’immagine adottata da De Chirico è ancora capace di pronunciare un discorso linguistico varato sulla traccia del simbolo che, dal nulla dell’ordinario, diventa l’unicità straordinaria del tutto – spiega Migliorati – in effetti per l’artista era fondamentale il riconoscere come azione della conoscenza, l’autore più vaticinante del ventesimo secolo sapeva tradurre in modo nuovo il quotidiano». 

VASAI si è detto «orgoglioso di ospitare l’opera di un artista tra i più significativi del Novecento italiano, un autore che sottolinea la dimensione popolare del vivere, il sentimento quotidiano della storia che diventa eccezione attraverso l’arte, considerando straordinaria la normalità, la vita di tutti i giorni. Credo sia la manifestazione più importante mai ospitata dal palazzo della Provincia». «La scultura di Giorgio de Chirico – continua Migliorati – riassume varie espressioni della prima carica vitale contemporanea. Forme ibride, artificiali e naturali, oggettuali e geometriche, per l’omaggio a una fastosa alchimia della maschera, della grafia, della silhouette: a decorare l’intimismo di un sentire celebrato, forse per ripartire con lo spirito etnico della natura che sogna la cultura».