La crisi morde il «Cuore verde»: strage di imprese artigiane

Perugia: dal 2012 a oggi chiusa almeno un’attività al giorno

Il settore dell’artigianato è in sofferenza

Il settore dell’artigianato è in sofferenza

Perugia, 15 luglio 2016 - Continuano a pagare il dazio della recessione le imprese artigiane. E anche i numeri del primo trimestre 2016 parlano di un comparto in grave sofferenza. «Al 31 marzo le imprese artigiane attive in provincia erano 16.738: un numero mai così basso da cinque anni a questa parte. In quattro anni, dal primo trimestre 2012 al primo 2016, il comparto perugino ha perduto 1.586 imprese, passando da 18.324 unità alle attuali 16.738. Come dire, che dal 31 marzo 2012 non è passato giorno senza che chiudesse almeno una azienda artigiana».

A commentare i dati è Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di Commercio di Perugia che aggiunge: «Le imprese artigiane sono quelle che più di tutte hanno risentito degli effetti della crisi. E ancora oggi, con la crisi che sembra definitivamente avviata verso la fine, l’artigianato è la sola categoria economica che continua a registrare cali significativi delle imprese attive». Lo prova l’andamento delle iscrizioni nei primi 90 giorni del 2016 ferme a quota 316, il valore più basso registrato nello stesso periodo degli ultimi cinque anni, con una diminuzione dell’1,3% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. Quanto all’identikit degli imprenditori, il nuovo artigianato perugino è donna (femminile il 15% del totale). Contrastato il dato sui giovani entranti, gli under 35: creano il 20% delle nuove imprese nel I trimestre del 2016, ma in termini tendenziali, calano del 10%. Le imprese straniere, invece, registrano un notevole incremento (+ 21,3%), muovendosi in senso opposto rispetto al dato nazionale, che segna una flessione del 3,2%. Come mai il settore non riesce ancora ad alzare la testa, nonostante soffi il vento della ripresa?

«Le difficoltà delle imprese artigiane – spiega Mencaroni – sono in generale legate agli effetti di una crisi globale e di due successive recessioni, ma anche alla caduta dei consumi delle famiglie e alla loro lentissima ripresa, a una pressione fiscale aumentata in maniera abnorme, senza dire di un accesso ai finanziamenti praticamente azzerato e dell’impennata dei costi di gestione. Ma oltre al danno economico causato dalla chiusura di tante attività, c’è anche un aspetto sociale molto preoccupante: quando chiude la saracinesca di una azienda peggiora la qualità della vita dell’intera area in cui essa lavora. C’è meno sicurezza, più degrado e il rischio di un concreto impoverimento del tessuto sociale».