Mercoledì 24 Aprile 2024

Lettera valdesi al Papa. Una frase fa discutere

di ROBERTO DAVIDE PAPINI

Torre Pellice, 26 agosto 2015 - La riconciliazione è un cammino e il perdono (chiesto e concesso) segna l'inizio di percorso rinnovato da compiere insieme. Così, in questo senso, ha ragione il Sinodo Valdese (la massima autorità di questa chiesa protestante riformata, assemblea democratica di deputati eletti dalle comunità locali e di pastori) nel parlare di "volontà di iniziare una storia nuova" tra cattolici e valdesi di fronte alla richiesta di perdono che il Papa ha fatto il 22 giugno scorso nella storica visita al tempio di Torino. Un perdono per le sanguinose persecuzioni che i valdesi hanno dovuto subire da parte cattolica in passato. A quella richiesta, il Sinodo (che si tiene a Torrre Pellice, in provincia di Torino fino a venerdì 28 agosto) ha risposto accogliendola ("non senza commozione") con una lettera aperta fraterna, profonda, accorata che sottolinea "la comune fede in Cristo" e il dialogo come "dono della misericordia di Dio, che molte volte ha perdonato, e ancora perdona, la sua e la nostra chiesa".

Il cammino, però, a volte può vivere fraintendimenti e passaggi non semplici da interpretare. La lettera dell'assemblea sinodale valdese è complessivamente chiara nella sua volontà di rispondere all'abbraccio di Francesco con un altro abbraccio, di "scrivere insieme una nuova storia sotto il perdono di Dio", come dice il teologo Fulvio Ferrario, ma contiene una frase, una puntualizzazione, che è stata interpretata in vario modo dai giornali e che ha aperto una discussione anche tra i valdesi. Si tratta della precisazione sul fatto di essere o meno "titolati a concedere il perdono". Infatti, nella lettera si prende atto di un clima nuovo nel rapporto tra cattolici e valdesi, sottolineando che "questa nuova situazione non ci autorizza però a sostituirci a quanti hanno pagato col sangue o con altri patimenti la loro testimonianza evangelica e perdonare al posto loro". 

Una frase ovvia (i valdesi oggi non sono torturati o massacrati per la loro fede), ma il cui inserimento è anche frutto di un compromesso nel dibattito sulla visita del Papa e le sue conseguenze, dibattito cominciato assai prima del Sinodo e che, a dire il vero, ha creato qualche mal di pancia nel mondo valdese.

Così, alcuni l'hanno giudicata superflua e inopportuna (un quasi "no" rispetto alla storica richiesta di perdono del Papa), mentre altri l'hanno ritenuta fondamentale come affermazione teologica necessaria e come precisazione utile per evitare ambiguità, senza inficiare per nulla il tono generale della lettera aperta indirizzata al Papa, obiettivamente fraterno e di grande apertura.

Tuttavia, quando sono arrivati i primi titoli dei giornali e dei siti internet ("I valdesi al Papa: perdono impossibile"; "Non possiamo perdonare al posto di chi è morto" e via dicendo) è subito parso evidente che qualcosa nella comunicazione è andato storto: il Sinodo voleva dire una cosa, ma con quella frase ha rischiato di dirne un'altra e c'è chi l'ha capita e interpretata diversamente. Tanto che sono stati necessari una nuova conferenza stampa ad hoc, un nuovo comunicato stampa e un'intervista del moderatore (presidente) della Chiesa valdese, Eugenio Bernardini, all'agenzia Sir. "Forse quella frase è un passaggio teologicamente troppo raffinato - dice Bernardini - che il Papa invece comprenderà benissimo perché il tema è nel dibattito tra cristiani ed è stato sollevato molte volte, per esempio nel caso della Shoah". In sostanza, Bernardini sottolinea che il succo di quel passaggio è che "non possiamo parlare per interposta persona".

Equivoco chiarito? Vedremo le reazioni soprattutto da parte cattolica (intanto, il vescovo di Carpi Francesco Cavina, intervistato dalla Stampa, parla di "risposta non evangelica" da parte del Sinodo), ma certo per i valdesi l'episodio apre (o continua) una riflessione sulla capacità di trovare una mediazione tra i documenti ufficiali e le affermazioni teologiche, rispetto alla comprensione dei mass media e, quindi, del grande pubblico. D'altronde, questi fraintendimenti sono possibili quando i documenti non nascono dal vertice delle gerarchie, ma da un'assemblea democratica: "Anche il Papa non ci avrebbe chiesto perdono così bene se i suoi atti fossero stati frutto di un'assemblea", commenta il pastore di Palermo Peter Ciaccio, vicepresidente del Sinodo. 

Alla fine, però, quello che conta è il nuovo clima di dialogo e di fraternità tra valdesi e cattolici, nell'auspicio che abbia ragione Pawel Gajewski (pastore delle chiese di Perugia e Terni) quando parla dell'avvento di "una nuova primavera ecumenica".