Firenze, 13 marzo 2014 - «NESSUNO della famiglia pensa che Riccardo sia stato ucciso a botte, ma l’impressione è che ci possano essere profili di negligenza e bisogna chiarire se questi abbiano avuto un ruolo nella morte del ragazzo». L’avvocato Luca Bisori parla in una pausa del processo al Forteto e controlla il cellulare per sapere cosa accade quattro piani sopra di lui, nelle stanze della sezione di pg della polizia, dove stanno testimoniando da ore il padre del ragazzo, Guido Magherini, e il fratello Andrea. Emergono elementi importanti, in queste ore, sulla drammatica vicenda del quarantenne morto dopo essere stato arrestato dai carabinieri la sera del 2 marzo. Il sostituto procuratore Luigi Bocciolini sta aspettando dal professor Mari, incaricato di svolgere l’autopsia, gli esiti degli esami sul corpo del povero Riccardo Magherini, ma l’audizione dei testimoni e il gran lavoro degli inquirenti sembra aver portato dei punti fermi nella ricostruzione dell’accaduto. «In questa tragedia, perché di tragedia si parla, forse può essere mancato del buonsenso, ma non credo che ci siano dei reati — scuote la testa un esperto ufficiale dei carabinieri —. La procedura di immobilizzazione seguita in questa vicenda è quella prevista dalle norme. Ma è giusto che si faccia luce, che la famiglia abbia risposte chiare sul perché il proprio figlio è morto mentre doveva essere in sicurezza, nelle mani di noi carabinieri».

ED ECCO dunque, momento per momento, cosa è avvenuto quella sera del 2 marzo scorso all’angolo tra via del Cestello e borgo San Frediano. Riccardo Magherini, come si sa, va in escandescenze, irrompe in una pizzeria e poi torna in strada, a torso nudo, urlando di essere inseguito da qualcuno che lo voleva uccidere. Quando la prima pattuglia dei carabinieri arriva — ed è questa la prima novità della ricostruzione finale — Riccardo è in ginocchio e i due militari gli vanno incontro a mani aperte, dicendogli di stare tranquillo. Al tempo stesso si avvicinano gli amici del pizzaiolo al quale aveva preso il cellulare e lui glielo restituisce, alzandosi. Arriva la seconda macchina dei carabinieri e Riccardo, forse per paura, cerca di allontanarsi verso la porta telematica. Spinge via un carabiniere («ma non voleva colpire nessuno dei militari, non è mai stato aggressivo verso di loro») ma gli altri tre lo bloccano, applicandogli un bracciale delle manette. Il quarantenne tenta ancora di divincolarsi e nella foga la manetta colpisce la fronte di un carabinieri, che si ferisce. Finiscono tutti per terra ma alla fine le manette chiudono i polsi di Magherini dietro la schiena e lui è disteso a faccia in giù con un militare che, a fianco a lui, gli tiene una mano sopra le sue. E’ a quel punto che arriva la prima ambulanza (che era stata peraltro chiamata dalla prima coppia di carabinieri) con tre volontari ma senza medico a bordo. Uno di essi va da Magherini e gli applicato l’ossimetro (che misura la concentrazione dell’ossigeno nel sangue), ottenendo un preoccupante valore zero. Tuttavia lo stesso paramedico mette una mano davanti alla faccia di Riccardo, rilevando che lo stesso respirava regolarmente e attribuendo così il risultato negativo dell’ossimetro al malfunzionamento dello strumento. Ma i carabinieri vogliono un medico e così, mentre il volontario resta accanto a Magherini disteso e apparentemente tranquillo, si attende l’arrivo di una seconda ambulanza. Che arriva alcuni minuti più tardi e svela tragedia: Riccardo non respira più e sarà inutile la mezz’ora seguente di tentativi di rianimazione. Una tragedia? Un errore? Mancanza di buonsenso nella gestione dell’arresto o forse nella gestione del caso clinico?