Il caso Lavorini / "Babao" e la grande paura: così perdemmo l’innocenza

Il nostro cronista ci riporta a quei giorni e alla psicosi che si creò in città. "La spensieratezza di noi bambini fu surclassata dall’angoscia per Ermanno"

Il monumento che ricorda Ermanno Lavorini

Il monumento che ricorda Ermanno Lavorini

Viareggio (Lucca), 19 gennaio 2023 - Nel tardo pomeriggio del 31 gennaio 1969, a Viareggio si materializzò “La grande paura”: il rapimento di un ragazzino di 12 anni, Ermanno Lavorini, fece piombare nella più cupa disperazione non solo la famiglia dello scomparso ma anche tutta la città. Un giorno spartiacque: da quel momento in avanti, Viareggio cambiò. La paura diventò strisciante. Il babao che porta via un bambino, l’immagine virtuale del male. Nessuno si sentiva più al sicuro. Uscire di casa da soli per andare a giocare a pallone o a scuola, diventò un azzardo.

Paura. Tanta paura. Così la spensieratezza dei bambini e degli adolescenti che aspettavano in gloria l’inizio del Carnevale, i pomeriggi passati al luna park della vecchia Piazza Grande per provare l’ebbrezza dell’autoscontro, vennero surclassati dall’angoscia di sapere che un coetaneo era scomparso. Non solo: dopo la richiesta di riscatto fatta alla sua famiglia nelle prime ore dopo la sparizione ("stasera Ermanno non torna, preparate 15 milioni"), di lui non si seppe niente fino al tragico ritrovamento del cadavere sulla spiaggia di Marina di Vecchiano a inizio marzo.

Eppure erano stati quaranta giorni, nei quali la città venne rovesciata come un calzino da polizia e carabinieri che avevano potuto contare su rinforzi provenienti da tutto il Paese. Anche gli investigatori più bravi finirono nelle sabbie mobili del giallo. Ma a distanza di più di mezzo secolo. Tre gradi di processo e pene scontate da chi è stato condannato, l’attenzione per la vicenda di Ermanno Lavorini continua ad essere alimentata dall’interesse con cui stampa e tv, ciclicamente, tornano sulla vicenda, che segnò – questa la convinzione di molti analisti politici – l’inizio della “Strategia della tensione” (punteggiata da attentati, a cominciare da quello alla Banca nazionale dell’agricoltura in piazza Fontana a Milano), che poi sarebbe sfociata anche nella ‘Notte della Repubblica’ , terrorismo rosso e nero, Br, Nar & C.

Storia d’Italia che difficilmente si studia a scuola. Soprattutto misteri, con tante zone d’ombra. Da quel 31 gennaio 1969, dunque, Viareggio finì per diversi mesi al centro del mirino dei media nazionali e internazionali: la città dovette fronteggiare non solo l’iniziale paura del “bruto che rapisce un ragazzino” ma tutta la serie di controverse storie torbide nelle quali il confine fra balle cosmiche, verità edulcorate e realtà si sovrapponevano per disegnare un contenitore nel quale finirono per cadere persone insospettabili: addirittura politici in primo piano di sinistra, che ebbero il loro futuro compromesso dalle sole voci – ripetiamo voci – di un coinvolgimento in quel giro di balletti verdi, la pista seguita in prima battuta dagli inquirenti.

Una storia terribile nella quale non solo morì Ermanno. C’è chi si suicidò in carcere (non sopportando i sospetti: la verità processuale ha detto che era innocente), chi di crepacuore. Ma la verità processuale emersa ha dato al rapimento e alla morte di Ermanno un contenuto solo politico, chiamando a rispondere dei reati tre giovani che facevano parte dei Movimento giovanile monarchico. Ancora oggi, quel verdetto viene contestato duramente. Resta però l’atto giudiziario certificato dalla Corte di Cassazione di una storia che Viareggio non è mai riuscita a metabolizzare.