"Quel Ferragosto a caccia del boss La nostra traccia? Due biciclette"

L’ex super poliziotto Giuttari ricostruisce la ricerca della villa al Forte insieme al procuratore antimafia Vigna

Il giorno di Ferragosto, accompagno a Busto Arsizio il procuratore Pierluigi Vigna. Dobbiamo interrogare un detenuto legato ai fratelli Graviano. E facciamo delle scoperte interessanti. L’uomo premette di aver conosciuto, attraverso un amico comune, Filippo e Giuseppe Graviano, e di averli ospitati in casa propria per periodi di quindici, venti giorni al massimo dal 1989-1990 fino al settembre 1993. I due fratelli viaggiavano in treno o in taxi, sempre accompagnati dalle stesse donne. Al momento della presentazione, i Graviano si erano qualificati uno per Francesco Mazzola, titolare di un allevamento di bestiame e di una ditta di pulizie a Palermo, e, l’altro, per il fratello.

Nell’estate del 1993, l’uomo li ha accompagnati con la propria auto in Versilia, in una bella villa che si trova nella zona interna rispetto al litorale. I Graviano gli dicono che la casa appartiene a degli amici che stanno per raggiungerli. È Giuseppe ad aprire la porta con le chiavi in suo possesso. Lui lascia i bagagli nell’ingresso e, declinato l’invito di trascorrere la notte lì, riparte subito. L’uomo ci descrive nei dettagli sia il percorso seguito sino alla villa sia l’interno della casa. È una fotografia molto precisa: dalla facciata tutta bianca, con rifiniture in marmo, al bel giardino circondato da un muraglione. Dai suoi ricordi affiora anche una rampa che conduce al garage e un posto macchina coperto da un pergolato. Cerca di descrivere anche l’interno, almeno per quello che è riuscito a notare: una grande sala con il camino, un salotto e una grande cucina sulla sinistra per chi entra nella sala con un balconcino. Al centro dell’ingresso, una scala che conduce al piano superiore. Da allora ha rivisto Giuseppe Graviano e la sua fidanzata un’unica volta, a settembre o ottobre di quell’anno.

Lasciamo il carcere nel pomeriggio. Vigna a un tratto ordina all’autista di passare dalla Cisa, perché vuole fare subito un sopralluogo a Forte dei Marmi. La sua richiesta non mi sorprende per niente, ormai lo conosco bene e so che è un inquirente con l’intuito del vero investigatore.

Il viaggio è abbastanza movimentato per il traffico e i frequenti ingorghi. È pomeriggio inoltrato e la gente, dopo la rituale gita fuori porta di Ferragosto, sta rientrando. L’autista è costretto ad azionare la sirena e ad accendere il lampeggiante sul tettuccio per chiedere strada. Dobbiamo arrivare prima che cali il buio.

Ma non ci riusciamo, perché, quando entriamo a Forte dei Marmi, è già sera. Vigna vuole fare comunque un giro nella zona e io ho la sensazione che sarà difficile convincerlo a desistere. Percorrendo quelle stradine dove si susseguono ville molto belle, vediamo gente nei giardini, vacanzieri in bicicletta. Molti di loro, incuriositi, si fermano a fissare la nostra auto blindata. È allora che provo a suggerire al procuratore di tornare a Firenze, assicurandogli che l’indomani continuerò io la ricerca con alcuni collaboratori. Vigna è d’accordo e finalmente prendiamo la strada di casa.

L’indomani le ricerche, iniziate di buon mattino, non sembrano per niente facili. Solo a tarda sera individuiamo finalmente l’agenzia immobiliare che stiamo cercando, dopo aver percorso in lungo e in largo, ma senza risultati, tutta la zona. Si trova sulla strada principale che sbocca sul lungomare all’altezza del famoso pontile. Rintracciamo il titolare, che, nonostante l’orario, si dichiara disponibile ad aprire l’ufficio per consultare gli atti di affitto. Gli spiego che il periodo che ci interessa è quello dell’estate 1993, e che gli affittuari dovrebbero essere dei siciliani.

Dopo le ricerche nel suo archivio, ci riferisce di aver affittato in quel periodo un villino di un suo vecchio cliente, un industriale milanese, Enrico Tosonotti, proprietario di una villa poco distante. Il canone per i tre mesi estivi era di 25 milioni di lire pagato tutto in una volta e in contanti. Ci fa i nomi dei proprietari e, nonostante l’ora davvero tarda, decidiamo di andare a trovarli.

È una coppia di anziani che ricordano tutto. Ci spiegano che gli affittuari hanno lasciato la casa in anticipo, non avevano capito per quale motivo, forse era accaduto qualcosa di grave che li aveva costretti a partire. Per la fretta avevano lasciato due biciclette, chiedendo al giardiniere di spedirle a un indirizzo siciliano.

Due biciclette: un riscontro molto preciso! Ricordo, infatti, l’annotazione del Centro Dia di Roma, a proposito delle ricerche infruttuose dei Graviano proprio in quella zona e in quell’estate, dopo aver scoperto che avevano acquistato proprio due biciclette. Il giardiniere conferma di aver provveduto personalmente alla spedizione e ci fornisce il nome della ditta che se n’è occupata: la Calcagnini Autotrasporti.

Suoniamo un altro campanello in piena notte: il titolare della Calcagnini ci apre e accertiamo in breve il destinatario: Giuseppe Vasile, corso Tukory 8, Palermo. Ottima notizia!

Nelle nostre indagini abbiamo già incontrato Vasile, il titolare di una ditta di pulizie il cui figlio, Leonardo, è stato arrestato il 3 ottobre 1993 per il reato di favoreggiamento dei Graviano all’aeroporto palermitano.

Sta già spuntando l’alba quando ritorniamo a Firenze, soddisfatti del nostro lavoro. In mattinata riferisco a Vigna e Chelazzi i risultati delle ricerche al Forte e ottengo la delega a sviluppare ulteriori accertamenti, interrogando tutti coloro che hanno avuto a che vedere con l’affitto della villa: proprietari, giardinieri, titolare dell’agenzia immobiliare, Enrico Tosonotti.

Accertiamo così che nella villa sono stati saltuariamente i tre fratelli Graviano (Giuseppe, Filippo e Benedetto), le rispettive fidanzate, Giuseppe Vasile e la moglie Fedora Puma, nonché Matteo Messina Denaro, che si faceva chiamare “Paolo”, con la sua ragazza. Quel Messina Denaro che presto diventerà la “primula rossa” della mafia siciliana, il nuovo capo di Cosa nostra, il numero uno dei latitanti.

Anche questo episodio mi farà riflettere sulla fallibilità di Cosa nostra, che si è servita di soggetti imprudenti, che hanno lasciato tracce sicure per la loro individuazione, come le due biciclette fatte spedire in Sicilia. Una conferma di quanto ho sempre ritenuto, e cioè che persino il più freddo e arguto criminale può commettere degli sbagli. Bisogna però saperli cogliere e soprattutto saperli utilizzare nel modo e nel tempo giusti, perché ogni atto di polizia giudiziaria deve essere svolto secondo precisi criteri. Inseguendoli anche in piena notte, svegliando i possibili testimoni, se proprio necessario. Sono i momenti “fisiologici” di un’indagine, da rispettare rigidamente se non si vogliono vedere vanificati i propri sforzi.