Quando ogni scusa era buona per una partita

Viaggio nel mondo perduto degli oratori. Dai campetti accanto alle chiese sono usciti decine di calciatori. "È un tema educativo"

Mentre in tv scorrono le immagini della manifestazione più importante del mondo del calcio, in Italia ci si interroga sulle cause che hanno portato una Nazionale salita per quattro volte sul tetto del mondo alla seconda esclusione di fila dalla festa planetaria più attesa. Una delle frasi ricorrenti è che "non crescono più talenti", e uno degli input arrivati a livello federale per ovviare al problema è di lasciare maggiore libertà espressiva ai bambini che si affacciano alle scuole calcio: in pratica, simulare il gioco di strada.

Una dimensione, quella del gioco libero, di cui si sta perdendo traccia nel mondo odierno. Basta girare nei quartieri per accorgersi che là dove fino a dieci fa imperversavano orde di ragazzini, oggi regna il silenzio. Un cambiamento che investe non solo lo sport, ma la socialità in generale dei bambini e degli adolescenti (e di cui nella pagina a fianco vi raccontiamo le possibili ripercussioni affidandoci all’analisi di due esperti). Chi vive quotidianamente l’oratorio di Santa Rita al Campo d’Aviazione, ad esempio, racconta che i gruppi di ragazzini, un tempo onnipresenti, vanno e vengono: magari battono presenza per una settimana di fila, anche per giocare a pallone o a pallavolo, poi spariscono per un po’, e sono pure meno numerosi di qualche anno fa. A poche centinaia di metri, al pattinaggio, bambini e adolescenti ci sono, ma lo spazio, in termini di frequentazione, è ben lontano dai livello di dieci, quindici o vent’anni fa. E pure nella pineta di Ponente è sempre più difficile imbattersi nei campetti improvvisati, con i due alberi più allineati a simulare una porta e l’ostacolo supplementare delle radici.

Una rivoluzione che si può spiegare in vari modi: il primo, banalmente, è che di bambini e ragazzi ce ne sono sempre meno. Il secondo è che è cambiata la struttura delle famiglie, con i genitori sempre più risucchiati dal mondo del lavoro che, spinti da necessità organizzative, inseriscono i figli in routine precostruite, lasciando poco spazio al gioco libero. Ultimo ma non meno importante, c’è il fenomeno dirompente delle nuove tecnologie, che contendono al vecchio pallone l’attenzione dei ragazzini e che, a differenza della partitella all’oratorio o in pineta, non hanno bisogno di spostamenti e non risentono degli effetti di pioggia e vento. Se la rivoluzione nelle abitudini delle nuove generazioni sia più un bene o un male, sarà il tempo a dirlo.

Daniele Mannocchi