La bomba d’acqua spazzò via quattordici vite

Detriti e alberi dilaniarono Cardoso e fecero ingenti danni lungo il corso del fiume fino alla foce. La visita del presidente Scalfaro

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Cominciò con un "c’è uno scuolabus coinvolto in una frana sulla strada che porta a Pomezzana". Finì con l’angoscioso conteggio dei morti, l’identificazione delle prime vittime e l’interrogativo opprimente sul numero dei dispersi: quello di un quarto di secolo fa è stato un 19 giugno indimenticabile. Così anche a distanza di anni gli sguardi delle persone incrociate in quei giorni sono sempre un ricordo nitido, sguardi che mostravano i segni di lacrime recenti o di un dolore straripante che non era possibile contenere. Il martirio di un paese, Cardoso, era entrato nel cuore e nei pensieri della gente di tutta Italia, a cominciare dal presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro che qualche giorno dopo volle rendersi conto di persona che cosa fosse accaduto in Alta Versilia, dove si erano contati quattordici vittime e danni incalcolabili al territorio. Quattordici croci. Due di bambini. Giulia, 4 anni, e Alessio, 9 anni: divennero in poche ore i figli e i nipoti di tutti gli italiani, i loro volti entrarono come una lancia affilata nello schermo delle tv generando grande commozione e profonda tristezza.

Era mercoledì. L’incidente dello scuolabus non fu grave. Ma in Alta Versilia pioveva forte. Il Comune di Stazzema intorno alle 13 era convinto di avere sotto controllo la situazione. Niente faceva pensare a quel che sarebbe accaduto intorno alle 13,40 a Cardoso, dove il placido torrente Vezza sarebbe diventato un fiume traditore, capace di produrre in serie morte e dolore. All’improvviso a Cardoso e sulle montagne che incorniciano il paese caddero una dietro l’altra, senza soluzione di continuità, una serie di bombe d’acqua, accompagnate da ‘proiettili’ di legno (tronchi d’albero) che demolirono case e ponti, trascinando a valle tutto quello che incontravano nel loro devastante cammino: dopo le case di Cardoso (dove persero la vita 11 persone: credevano di essere al sicuro, le altre tre, una a Pietrasanta e due sul versante garfagnino delle Apuane), l’albergo nella piazza principale e altre case a Pontestazzemese, poi giù verso il mare, allagando le strade, le case, gli uffici, i negozi, isolando i paesi. Tracimò anche il Serra. Poi il fiume Versilia alla curva di San Bartolomeo fra Pietrasanta e Vallecchia, nell’area del Golf Club a Forte dei Marmi, fino al Cinquale. Un percorso di devastazione, dolore e morte: alcune vittime – trascinate dalla corrente – vennero trovate proprio in quell’area.

E fu così che fino a tarda notte, quella giornata di disperazione e di morte diventò anche una corsa contro il tempo per prestare soccorso a chi era rimasto isolato o chi era ferito. L’Alta Versilia era stata colpita pesantemente. Le operazioni di soccorso non tardarono a mettersi in moto. Una corsa contro il tempo. Purtroppo il dramma si era consumato senza possibilità di intervenire in quei trenta muniti che cambiarono i connotati ad un paese tranquillo dove la serenità e il quieto vivere era una simbolica carta di identità collettiva. Gente attaccata alla propria casa, ai ricordi che si tramandavano di generazione in generazione. Un paese che il giorno dopo quando venne raggiunto anche dai cronisti era irriconoscibile. Sventrato. La strada principale non esisteva più. Tutto attorno desolazione. E morte. I superstiti, in elicottero, trasferiti al ‘Buon Riposo’, molti dei quali vollero portarsi dietro anche gli animali domestici, cani e gatti nascosti nelle borse o sotto le maglie. La ricerca dei corpi delle vittime. La liturgia del dolore per giorni e giorni ha ammantato l’opera dei soccorritori. Ma la voglia di ripartire – nel ricordo di chi non c’era più – non è mai venuta meno. "Ci rimboccheremo la maniche per ricostruire, da qui non ce ne andremo" dissero con convinzione i più giovani. Venticinque anni dopo, missione compiuta, coltivando la memoria di chi non c’è più.

Giovanni Lorenzini