Il processo della strage arriva in Cassazione

La prima udienza è stata fissata alle 10 del 2 dicembre davanti alla Quarta sezione della suprema corte: l’iter processuale è iniziato 7 anni fa

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Dopo 4 anni di indagini internazionali e 7 anni di udienze, il 2 dicembre, alle 10, la strage di Viareggio arriva davanti alla quarta sezione della Corte Suprema di Cassazione. Potrebbe essere l’ultimo atto, il punto sull’iter giudiziario cominciato oltre undici anni fa: all’alba del 30 giugno 2009.

Quando il sole su Viareggio illuminò impietoso la devastazione lasciata dal passaggio del treno merci partito da Trecate e diretto a Gricignano che, pochi minuti prima della mezzanotte del 29 giugno, alla stazione di Viareggio, deragliò per la rottura di un asse. Una delle 14 cisterne cariche di Gpl si rovesciò, e da uno squarcio si liberò nell’aria il gas. Una “bomba“ esplose in piena notte, distruggendo via Ponchielli e via Porta Pietrasanta, sul fianco Est della ferrovia, e uccidendo trentadue persone. Bambini, mamme, figlie, padri, fratelli, amici, nonni...

I giudici d’appello lo scorso 20 giugno 2019 hanno condannato 25 imputati, tra cui i manager delle ferrovie: Mauro Moretti, ex ad di Rfi ed ex ad di FS, a 7 anni di reclusione; Michele Mario Elia, ex ad di Rfi, e Vincenzo Soprano, ex ad di Trenitalia, a 6 anni di reclusione. "E’ provato con certezza che le valutazioni dei rischi effettuate negli anni dalle due società – si legge nelle motivazioni della sentenza di secondo grado – non hanno avuto a oggetto tutti i rischi rilevati connessi a un deragliamento e quindi hanno effettivamente mostrato le lacune e le omissioni indicate dai giudici di primo grado". Non è stato valutato, scrivono i giudici, "il maggiori rischio di rottura di un componente conseguente a una manutenzione non corretta eseguita da soggetti terzi sui quali Trenitalia Spa non aveva un diretto controllo".

Condannati in appello hanno anche tutti i dirigenti e manager (tranne uno) delle società in cui venivano mandati in revisione i carri merci. A finire nel processo, oltre a Ferrovie e alle aziende sotto il suo controllo, sono state infatti anche la Gatx Rail – proprietaria del vagone, americana, ma in questo caso sotto forma delle succursali di Germania e Austria -, le officine Junghental di Hannover (dove fu controllato l’assile che rompendosi causò il deragliamento) e la Cima Riparazioni, azienda mantovana dove fu montato proprio l’assile che si ruppe all’ingresso della nostra stazione. Adesso l’ultima parola passa alla Suprema Corte.

Martina Del Chicca