Viareggio, chiude la pizzeria Da Gino. Qui Gaber scoprì la cecina

Domenica si abbasserà definitivamente la saracinesca del fondo di via Mazzini. L’attività fu avviata nel ’38 e dal 1979 alla gestione c’è Renato Arciello

Chiude la pizzeria Da Gino

Chiude la pizzeria Da Gino

Viareggio, 8 dicembre 2022 - Giorgio Gaber impazziva per quella cecina così gustosa. E Nino D’Angelo proprio qui ha trovato il sapore di una pizza tutta partenopea. Domenica sera la saracinesca della storica pizzeria bar Da Gino in via Mazzini si abbasserà definitivamente, dopo 84 anni di storia e 43 di gestione continuativa da parte di Renato Arciello e della moglie Mariana Chicchi. L’ennesima attività che ha resistito al tempo e che adesso lascia, azzerata anche dall’assenza di giovani interessati a rilevare la licenza.

Un locale che ha sapore non solo per quegli impasti cotti nel forno a legna, ma soprattutto per quella sua lunga evoluzione che si è intrecciata a generazioni di viareggini e alle trasformazioni del tessuto commerciale. La pizzeria Da Gino fu aperta nel 1938 da Gino Palamidessi che arrivò da Altopascio assieme ai cugini Athos e Rizieri che avviarono altrettanto note attività di somministrazione in altri punti cittadini.

Poi fu rilevata da Sergio Mazzoni per 6-7 anni e nel 1979 subentrò alla gestione Renato Arciello, che allora era un pizzaiolo poco più che ventenne arrivato da Salerno. Ad affiancarlo c’è sempre stata la moglie Mariana in quel bar che è diventato casa e dove nei decenni sono state infornate più di un milione di pizze.

"Ho 68 anni e da 6 sono in pensione – spiega Renato Arciello – e non voglio finire la mia vita dietro al banco. Nostro figlio vive a Roma ed è impegnato nel settore informatico e voglio dedicarmi ai miei nipoti.

I personaggi passati da qui? Difficile ricordarli tutti: Nino D’Angelo trascorse una settimana in vacanza a Viareggio e ogni sera era a cena da noi e proprio qui scoprì l’impasto con la farina di ceci, poi ci sono stati Adriano Panatta e Mario Cipollini, senza contare Giorgio Gaber che arrivava da solo, unicamente per mangiarsi la cecina. Il ricordo più bello è quello di aver lavorato con passione finio all’ultimo giorno. Qui lascerò il mio cuore". "Abbiamo visto bimbi, genitori e alternarsi generazioni – aggiunge la moglie Mariana Chicchi – e abbiamo vissuto un’altra città, quando la via Mazzini aveva un altro volto. Il rammarico più grande è che nessuno si sia presentato per rilevare l’attività: avevamo messo in vendita da più di un anno le licenze di bar, pizzeria, rosticceria e ristorante, ma nessuno ha voluto portare avanti la tradizione di Gino".

Francesca Navari