Teatro, quei Castellitto e Ferrari che non ti aspetti nei giorni "che non accadono mai"

Torre del Lago, il palco del "Puccini" riapre i battenti: lo spettacolo con due carichi da novanta del cinema italiano

Un momento dello spettacolo (dalla pagina Fb del Festival Puccini)

Un momento dello spettacolo (dalla pagina Fb del Festival Puccini)

LA RECENSIONE

Torre del Lago (Viareggio), 11 luglio 2020 - Il palcoscenico del Gran Teatro Puccini ha riaperto i battenti l’altra sera affidandosi a uno spettacolo di prosa. Più che a uno spettacolo propriamente detto, a una lettura. Due e leggii in una scena vuota per «Ci sono giorni che non accadono mai» i cui protagonisti sono un carico da novanta del cinema italiano come Sergio Castellitto e una brava attrice come Isabella Ferrari.

Nello spettacolo tentano di raccontare non una sottospecie di amore ai tempi del colera, ma parte degli effetti collaterali dovuti alle ristrettezze e alle costrizioni della pandemia, che ci ha voluto chiusi in casa. Due che in qualche modo, in scena, pare perdano i freni inibitori puntando su una relazione d’amore virtuale.

Si sono conosciuti su Facebook anni prima e dovrebbero essere persone che più diverse non si può. In realtà entrambi si prestano all’invenzione di grotteschi giochini pseudo erotici, a tratti ridicoli, in altri patetici come lo possono essere persone ageè con la voglia di fare i moderni un po’ sboccati per sentirsi trasgressivi.

Usando sul palco un linguaggio che nella realtà anche gli ottantenni penso che non usino più, i due confessano le loro – si fa per dire – fantasie. Da quando per conquistare dovremmo mettere a rischio noi stessi e i nostri decrescenti sodali cioè i nostri pseudo amanti? «Mandami una foto voglio vedere il tuo corpo», invoca Castellitto alla Ferrari: «Quando ti ho vista ho cominciato a fantasticare». E lei: «Posso provare ma non voglio rischiare di essere scoperta».

Lui: «Una foto dove sei nuda? Amore e morte sono diventati un classico della letteratura». «Fammi un selfie spinto». Lei: «Sto facendo le pulizie di primavera delle amicizie»; «Sono tutta depilata, sei deluso?». Lui: «Sembri un’albicocca. Dai, diamo un nome ai nostri sessi: Teodoro e Clarabella».

Già lo scrittore di questo testo, Valerio Cappelli, c’era andato giù duro usando per il protagonista il nome Evaristo, musicista che vive a Roma. E salvando lei dal nome, Silvia, ma vendicandosi sul suo lavoro, cioè lo stereotipo top del top come fare l’estetista che però vive a Piacenza e che a un certo punto, non si sa perchè diventi parrucchiera: «Mi sono stancata di pettinare finte bionde che si credono Grace Kelly».

Nel 2020? Alzi la mano chi si ricorda di GK: chiamala Lady Gaga caso mai. Il tenore dei dialoghi della lettura è stato questo per un’ora e mezzo, intervallato nelle parti più, diciamo, incisive da canzoni come Pensiero Stupendo di Patty Pravo, La Cura di Battiato, Portami via di Mina.

Una serata ricca di perle drammaturgiche, che poteva creare un certo brivido nell’Ottocento. Da questo microcosmo di leggii e microfoni sul palcoscenico del Pucciniano sfioriamo addirittura l’hard dei Pierini anni’70. Poi la pseudo dedica a Ennio Morricone, al quale viene attribuita qui addirittura la sua ultima partitura dedicata allo spettacolo. Traduco, la partitura è durata il seguente tempo: un minuto all'inizio , quattro alla fine.

La domanda è ci si può improvvisare drammaturghi? Si possono scegliere due grandi interpreti italiani per certi dialoghi? Applaudi stenti e radi: con mascherine e distanziamento. Perchè il Covid è una cosa seria, come lo è la memoria di grandi autori morti da poco. Più drammatica della brutta morte che ha colpito tanti, nella clausura totale, delle strade vuote, dei negozi chiusi, delle sere senza cinema né teatro né concerti. Il Covid è più serio del sesso di uno pseudo maniaco portatore asintomatico. Anche a teatro, soprattutto dal teatro.