Uccisa in strada, dopo 21anni la famiglia cerca la verità

Il cold-case di Mauretta Fondacci, la 31enne uccisa senza un perché da uno sconosciuto nella tranquilla Gubbio, potrebbe tornare a far parlare di sé

Mauretta Fondacci, uccisa a Gubbio il 6 novembre del ’97

Mauretta Fondacci, uccisa a Gubbio il 6 novembre del ’97

Perugia, 17 novembre 2018 - Ventuno anni dopo, e l’evoluzione sulla scoperta del Dna in mezzo, il cold-case di Mauretta Fondacci, la pastaia di 31 anni uccisa senza un perché da uno sconosciuto nella tranquilla Gubbio, potrebbe tornare a far parlare di sé. Clamorosamente. E dunque restituire alla giustizia, o quantomeno allo strazio di una famiglia, un tassello importante di verità. E’ infatti in corso a Roma, affidata a un genetista forense, l’analisi delle tracce di possibile natura ematica evidenziate su uno degli undici reperti sequestrati e mai distrutti del giallo di Mauretta, recuperati dall’archivio del tribunale di Perugia.

Mauretta venne uccisa con tre colpi di un fucile da caccia il 6 novembre ’97 quando, come ogni giorno, percorreva a bordo della sua Opel la stradina che dalla casa di Loreto la portava al lavoro a Casamorcia. Per quel delitto, inizialmente misterioso, venne arrestato, condannato e poi assolto in via definitiva l’allora coetaneo Mauro Ronchi. Lo stesso, oggi cinquantenne, per cui è stato recentemente chiesto il rinvio a giudizio con l’accusa di stalking nei confronti di una ragazza eugubina. Ma questa è un’altra storia.

All'epoca del delitto e, dopo l’appello del vescovo a fare luce sull’accaduto («Chi sa parli»), ai carabinieri venne indicato proprio Ronchi come una persona su cui indagare. Finì in carcere e, in primo grado, la Corte d’assise allora presieduta da Paolo Nannarone lo condannò all’ergastolo. In appello il giudizio venne ribaltato: assoluzione, seppur in base al secondo comma, quando la prova è carente o contraddittoria. Sentenza confermata in Cassazione che, in termini pratici significa che Ronchi è assolto per sempre e nemmeno dinanzi a fatti nuovi potrà mai più essere imputato per lo stesso reato.

In Italia il ‘Ne bis in idem’ è normato dall’articolo 649 del codice procedura penale. Il giallo di Mauretta è destinato a restare tale. Se non per un appello del parroco di Semonte che, nell’anniversario della morte, scrisse una lunga e toccante lettera aperta all’«assassino». «Hai bisogno di confessare il tuo peccato al sacerdote come al magistrato: nei hai proprio bisogno per tornare libero da quel carcere che ora imprigiona la tua coscienza». Ma da allora sul caso è calato un silenzio assordante.

Fino ai mesi scorsi. A fine ottobre, per un evento casuale – nell’ambito di ricerche criminologiche – spunta un reperto negli archivi impolverati del tribunale. E’ un’istanza dell’avvocato Ubaldo Minelli, storico legale di parte civile della famiglia Fondacci, per conto del fratello Maurizio a riaccendere i riflettori. L’avvocato chiede e ottiene dal tribunale di Perugia di entrare in possesso del reperto trovato tra i faldoni degli atti giudiziari. Finito lì in mezzo per errore.

E’ un pigiama, appartenuto proprio all’allora imputato, in cui si notano a occhio nudo alcune macchioline rosse. Il reperto viene prelevato con l’assistenza della Polizia scientifica di Perugia e affidato al genetista che, oggi grazie al Dna, potrebbe essere in grado di stabilire se si tratta di una traccia ematica e soprattutto a chi appartiene quella catena genetica. La difesa dei Fondacci si è affidata alla criminologa forense Roberta Bruzzone, che si sta interessando al caso. Forse ‘solo’ un tentativo di conoscere la verità.