Perugia, 7 novembre 2010 - È riservato, disincantato e pacatamente lirico il perugino Nicola Renzi. Scultore che intinge nella pittura le sue armonie, a dispetto dei suoi 38 anni ha l’aria di uno degli ultimi artisti romantici. Per questo smarrito nella rutilante vetrina che detta i ritmi dell’arte contemporanea italiana? Niente affatto. A riprova, due sue opere sono appena state esposte in Permanente a Milano, come finalista (indicato da Alberto Fiz) del prestigioso Premio Cairo, diretto per l’undicesima edizione dal critico Luca Beatrice.

 

Dal basso profilo in regione, colleziona riconoscimenti su e giù per la Penisola da almeno 17 anni, da quando fresco di Accademia se ne andò da Perugia per una borsa di studio in Olanda. Sua è ad esempio la scultura di elastici colorati della copertina delle Pagine bianche del 2006 (vinta su concorso presieduto dallo stesso Beatrice) con l’opera "Oggi a te, domani a me", poi acquistata da Eros Ramazzotti.

 

Se fino al 2006 la sua poetica si caratterizzava per l’uso di fettucce gommose "come unità di misura minima e flessibile per lo sviluppo delle forme" (Alberto Zanchetta) e dell’architettura, oggi il dialogo con lo spazio continua attraverso composizioni di etichette adesive che frammentano la visione: "Perché non mi riesce di vedere un’immagine nella sua totalità - spiega Renzi -. E preferisco costruire con grande lavoro, concentrandomi sulle persistenze".

 

Esperto nella lavorazione dei metalli e ceramista (primo premio "Aldo Ajò" a Gubbio nel 2009), Renzi è "accademico di merito" all’Accademia di Belle Arti, dove insegna da 13 anni. Eppure dell’Umbria dice: "L’arte contemporanea qui è messa male: non c’è l’intelligenza per capire e non ci sono neanche gli artisti. Non faccio mai nulla qui".

 

Non salva neanche l’accademia? "Io vado avanti perché insegno. Ma lo scollamento con il contemporaneo c’è da
sempre. Solo con l’arrivo di Giuman, l’anno scorso, c’è stato nuovamente un artista alla guida, che sa cogliere le sinergie per ridare visibilità".

 

Quali sonole scelte sbagliate che hanno reso, secondo lei, l’Umbria inospitale? "Un esempio? La mostra di
McCurry, come tutte quelle che non lasciano valori, che non fanno sentire la ciclicità dell’arte. Che sono operazioni e basta. Perché il punto è che non si può fare un’azione di rastrellamento quando il terreno non è stato mai dissodato. Ma è già difficile mantenere l’obiettivo e l’equilibrio come sedimentazione, che non mi spetta impegnarmi per migliorare l’insieme".

 

Lei ha lavorato a Bologna, in Germania e in Piemonte e le sue gallerie di riferimento sono a Milano, Biella e Magenta. Ma se si aprisse un’occasione di confronto in Umbria parteciperebbe? "Da artista, assolutamente sì".

 

Perché appena diplomato scelse l’Olanda? "In Olanda e Germania già quindici anni fa c’erano spazi per i giovani e gli artisti retribuiti dallo stato. E soprattutto il giudizio all’estero non è così forte. Uno bravo sta a studio: se esce è per catturare qualcosa, non per ricordare la sua esistenza. Detesto il presenzialismo a ogni inaugurazione".

 

Eppure il mercato richiede anche di sapersi vendere. Lei com’è riuscito a farsi cercare? "Quando le cose non viaggiano per idealità, le devi far muovere per utopia. In modo carsico, sotterraneo. Se incontro persone che
ritengono che l’opera non deve rimanere a studio, investo in continuità".

 

Lei ha avuto successo in numerosi concorsi. Crede che siano una occasione concreta di visibilità? "Certamente. Basti pensare che tra i vari fatti al Ministero c’è stato quello per la pavimentazione artistica di
due piazze interne al Palazzo della Regione di Udine, nel 2007, un progetto da un miliardo e mezzo di euro. Che ho realizzato grazie all’architetto perugino Andrea Dragoni, con cui da anni collaboro. Con Dragoni siamo stati selezionati anche per il Targetti Light Art (più di 800 domande ndr) con ‘Dare date alla luce’. Dedicato al Futurismo abbiamo presentato una lampada che rappresenta la data di nascita di Balla e un progetto per commercializzarla con date personali. Ora siamo in attesa dell’esito. Il bello dei concorsi è che ogni volta quello che fai si deve sposare con delle esigenze date, che ti fanno misurare con le tue capacità. È l’idea di stare sempre alla fonte. Come dice De Gregori, l’amore ha sempre fame".