Sei anni fa la morte di Lamberto al Cocoricò. "Vivo nel ricordo di quella tragica notte"

La madre Donatella Pauselli racconta come la perdita del figlio per una dose di Mdma l’abbia spinta a lottare contro la droga. "In sua memoria una borsa di studio, un torneo calcistico, un documentario su Sky e incontri nelle scuole di Città di Castelllo"

Lamberto Lucaccioni con i suoi genitori

Lamberto Lucaccioni con i suoi genitori

È la notte del 19 luglio 2015. Mamma Donatella non si dà pace. Chiama e richiama il figlio Lamberto, ma il suo cellulare squilla a vuoto. Da ore ormai non ha più sue notizie. L’ultimo sms, poi il silenzio. A un tratto qualcuno risponde. Il cuore di Donatella salta un battito. All’altro capo del telefono una voce maschile. Non è Lamberto. È un carabiniere. "Signora, suo figlio si è sentito male al Cocoricò. Lo hanno portato in ospedale". Donatella e il marito Livio fanno quello che farebbero tutti i genitori. Si fiondano in macchina e partono nel cuore della notte da Città di Castello per raggiungere Riccione, mentre i pensieri più spaventosi si fanno largo nella mente. L’alba è già spuntata quando raggiungono il casello. Ad attenderli c’è una macchina dei carabinieri che li scorterà in pronto soccorso. "È stato lì che ho capito che Lambi non ce l’aveva fatta. Aveva solo 16 anni".

Sei anni sono passati da quando Lamberto Lucaccioni perse la vita, dopo aver assunto Mdma durante una serata con gli amici al Cocoricò di Riccione. Signora Pauselli, cosa ricorda di quella notte?

"Ricordo la luce negli occhi di mio figlio, e il suo sorriso, il giorno in cui lo portammo a Riccione, a casa di amici, dove avrebbe trascorso il weekend. Era impaziente Per lui era la prima vacanza lontano dalla famiglia. Qualche ora dopo mi mandò un messaggio. ’Mamma mi raccomando, stai tranquilla, altrimenti non riesco a divertirmi’".

Dove avete trovato la forza di andare avanti?

"Per noi l’orologio si è fermato alla notte del 19 luglio 2015. Il dolore non si esaurisce, si trasforma solamente. All’inizio c’era tanta rabbia, ma piano piano abbiamo razionalizzato la perdita. Ci siamo dati da fare per far conoscere Lamberto. Non il Lamberto di ‘quella notte’, ma il Lamberto di tutti i giorni, un ragazzo innamorato della vita, gentile, amante dello sport, appassionato di calcio. Lo abbiamo fatto attraverso foto, lettere, i racconti degli amici. È stata istituita una borsa di studio nel ricordo di Lambi e anche un memorial calcistico. E poi, nel nostro piccolo, abbiamo cercato di dare un contributo nella lotta alla droga".

In che modo?

"Abbiamo preso parte a diversi incontri nelle scuole della nostra città. Non siamo degli esperti in materia, ma abbiamo voluto condividere la nostra testimonianza con i ragazzi, alcuni dei quali più giovani di Lamberto. E poi abbiamo girato un documentario insieme a Sky, ‘Non smetto quando voglio’. Non è vero che la droga ti consuma lentamente. A volte una volta sola può essere fatale. Lamberto non era un consumatore abituale, non lo aveva mai fatto in vita sua. La sua curiosità, quella notte, è stata più forte della paura. Speravamo che la vicenda di nostro figlio servisse se non altro a risvegliare le coscienze. Che finalmente anche nel nostro Paese si cominciasse a fare una lotta seria alla droga, con pene severe per chi spaccia e controlli serrati nei locali. Così purtroppo non è stato".

Lo spacciatore che vendette la droga a Lamberto e i suoi amici ha patteggiato una condanna a 2 anni e 6 mesi. Lo ha mai perdonato?

"Il ragazzo non ha fatto nemmeno un giorno di carcere, ma rispetto la sentenza del giudice, che si è limitato ad applicare la legge. Con il tempo ho capito che anche una condanna più severa non mi avrebbe riportato indietro Lambi e che quindi non aveva senso vivere nel rancore".

Crede che suo figlio si sarebbe potuto salvare?

"È difficile dirlo. Di certo chi lo ospitava in quei giorni avrebbe potuto vigilare di più o comunque imporre degli orari".

Ha mai avuto dei rimpianti?

"Non so se sono rimpianti, ma ora capisco che non avremmo dovuto lasciarlo. Non siamo riusciti nemmeno a rivederlo, a dirgli quanto eravamo orgogliosi di lui e che averlo avuto come figlio è stato il dono più prezioso".