Giovani nigeriane ridotte in schiavitù, arrestati marito e moglie

Costringevano le vittime a prostituirsi

Sulle strade della prostituzione

Sulle strade della prostituzione

Perugia, 26 aprile 2019 - Dalla Nigeria all'Italia attraverso violenze, vessazioni e barconi della speranza: private dei documenti, ridotte in schiavitù e, una volta arrivate a Perugia, costrette a prostituirsi per strada. La squadra mobile del capoluogo umbro, al termine di una lunga e articolata attività di indagine coordinata dal pubblico ministero Manuela Comodi, ha arrestato, su disposizione del gip, Lidia Brutti, due cittadini nigeriani, marito e moglie, lui di 45 anni, lei 40, accusati di associazione a delinquere finalizzata ai reati di riduzione in schiavitù e tratta di esseri umani, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e sfruttamento della prostituzione, il tutto con l'aggravante della trans nazionalità. Indagato in stato di libertà un terzo nigeriano, 25 anni, il cui ruolo è considerato dagli investigatori meno centrale.

È stato il coraggio di una delle vittime a far scattare l'indagine: la ragazza, dopo essersi rifiutata di prostituirsi, è riuscita a rimpossessarsi del suo documento e a scappare. Secondo quanto emerso dalle indagini, la coppia, con un bambino di circa un anno e mezzo, entrambi regolari sul territorio nazionale, con piccoli precedenti penali e da tempo residenti a Perugia, dove lei gestiva un «african shop» nella zona di Fontivegge, era al vertice di un più ampio sodalizio criminale che, con la complicità di altri soggetti operanti in Nigeria e in Libia, organizzava la tratta di giovani donne africane. Era lo stesso 45enne nigeriano, secondo quanto riferito dagli investigatori, a «selezionare» le giovani donne nel loro paese di origine, quasi sempre in situazioni di degrado e difficoltà, spesso offerte ai loro aguzzini dagli stessi genitori. 

Da qui il lungo «viaggio della speranza». Dall'attività di indagine è emerso che le ragazze dopo aver attraversato il deserto del Sahara venivano fatte arrivare in Libia, dove restavano a volte anche per lunghi periodi, rinchiuse in ghetti, sottoposte a violenze e privazioni di ogni genere, lasciate senza cibo. Una violenza fisica e psicologica, esercitata, come spesso accade in questi casi, con lo spauracchio dei riti voodoo. Quindi l'arrivo in Italia, a bordo dei barconi (gli investigatori ritengono che una delle ragazze reclutate abbia perso la vita proprio durante la traversata) e con in tasca il numero di telefono dei loro aguzzini con l'ordine di contattarli.

È da questo momento in poi, secondo la polizia, che la coppa arrestata entrava in «possesso» delle ragazze, che venivano private di telefono, documenti e costrette a prostituirsi per strada per riscattare se stesse. Una libertà da pagare con cifre che arrivavano anche a 10 mila euro, per rimborsare le spese sostenute dagli organizzatori per il loro viaggio dall'Africa all'Italia, con l'obbligo di consegnare alla coppia la metà di quanto guadagnato per strada. Una volta a Perugia, dopo due o tre giorni passati recluse in casa, le giovani vittime venivano portate in strada, solitamente nella zona di Pian di Massiano, dalla «madame» che, dopo aver fornito loro vestiti, preservativi e creme, le accompagnava e tornava a riprenderle. È stato, come detto, il coraggio di una delle vittime, una giovane poco più che ventenne, a far scattare l'indagine della polizia.

La stessa, dopo essersi rifiutata di prostituirsi, è riuscita a rimpossessarsi del suo documento e a scappare. In treno è riuscita a raggiungere il centro di accoglienza dove era stata al suo arrivo in Italia e qui, tramite un amico, si è convinta a denunciare l'accaduto. Quindi le indagini della polizia e l'arresto della coppia.