"Pronto soccorso, qui è una disfatta totale"

Maria Rita Taliani, presidente regionale Simeu: ’Il Covid ci ha travolto. Costretti a chiudere l’Obi che è un reparto importantissimo’

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"I pazienti stanno peggio di prima, il personale è carente, i turni sono massacranti, le attese dei cittadini sempre più lunghe, la retribuzione al pari se non inferiore a quelle di altri medici e in tanti preferiscono prendere altre strade meno ‘rischiose’". Maria Rita Taliani, presidente regionale della Simeu (Società italiana di medicina d’emergenza-urgenza) lancia di nuovo l’allarme per i Pronto soccorso di tutta l’Umbria.

Lo aveva fatto già un anno fa, insieme ad alcuni colleghi, in un’audizione in Commissione sanità, in Regione. Un appello del tutto inascoltato, dato che a distanza di 12 mesi le cose sono addirittura peggiorate.

Al punto che il Pronto soccorso di Perugia è stato costretto a chiudere l’Obi, il reparto di Osservazione breve intensiva, che aveva otto-dieci posti letto e che da almeno quattro mesi, non funziona più: quel personale infatti è stato dirottato nel modulo-Arcuri, dove ci sono i malati di Sars-Cov2.

Quanto ha inciso il virus in tutto questo?

"Il Covid ci ha travolto e siamo stati costretti a chiudere l’Obi che è un reparto importantissimo poiché riduce il rischio clinico dei pazienti e i ricoveri impropri. La pandemia insomma, ci ha dato il colpo di grazia, ma già quattro anni fa i segnali di quello che è poi accaduto c’erano tutti"

Si può quantificare la carenza di personale nei pronto soccorso dell’Umbria?

"Mancano almeno 80-90 medici. Qui a Perugia ad esempio da poco abbiamo ‘attinto’ a Branca con due persone, e di conseguenza lì sono andati ancora più in difficoltà".

Quanti accessi ci sono nel capoluogo ogni giorno?

"Da 140 a 200, con una media di 170. I numeri sono tornati quelli della pre-pandemia, ma la situazione è diversa"

In che senso?

"Che noi siamo di meno e che i pazienti stanno peggio di prima, sono ad esempio sempre più gli anziani con patologie complesse. Senza contare il livello di tensione di chi aspetta che è sempre più alto. E come detto le attese dei codici verdi e di quelli bianchi sono sempre più lunghe, di conseguenza le ‘aggressioni’ verbali nei nostri confronti si moltiplicano, soprattutto da parte dei più giovani". La Medicina territoriale potrebbe aiutare?

"Moltissimo, specialmente per alcuni tipi di accesso e per le persone anziane con patologie complesse. Ma se nei territori non c’è risposta, se le liste di attesa sono sempre più lunghe, la gente si riversa nei Pronto soccorso, è ovvio".

Anche nell’emergenza-urgenza è frequente il fenomeno di medici che abbandonano per stress, rischi professionali elevati e scarsa retribuzione? "Certo, qui a Perugia due se ne sono andati da poco. La richiesta di sanitari all’esterno – privato e altre regioni – è elevata, le alternative meglio retribuite e con rischi professionali minori sono molte".

Vale anche per i giovani-medici?

"Sì. Quando si rendono conto che in Pronto soccorso si lavora il 70% dei festivi, che il lavoro notturno si moltiplica, che i turni sono lunghi e stressanti e che lo stipendio è come quello di un altro medico, neanche si avvicinano a una professione che in realtà è molto affascinante. E una situazione simile è quella del 118".

Cosa si potrebbe fare a suo avviso nel breve e poi nel lungo periodo?

"Nell’immediato si possono ridurre gli orari e aumentare le retribuzioni. Questo andrebbe a vantaggio prima di tutto dei cittadini che verrebbero curati molto meglio. Poi bisogna potenziare i territori come detto e rivedere magari l’organizzazione degli accessi in Pronto soccorso, costruendo percorsi alternativi di accesso dei pazienti magari direttamente nei reparti"

Qualche risposta potrebbe arrivare dal Piano sanitario?

"Lo speriamo, anche se sull’emergenza-urgenza c’è poco, ma sulla medicina territoriale molto. Noi non siamo stati interpellati, ma siamo comunque fiduciosi".

Michele Nucci