Menenti: "Sono libero grazie alla legge"

Delitto Polizzi, parla l’uomo scarcerato dopo la condanna all’ergastolo: "Scappare? Resto qua e affronto il mio destino"

Valerio e Riccardo Menenti

Valerio e Riccardo Menenti

Perugia, 30 gennaio 2020 - "Un polverone gratuito. Io sono libero perché lo stabilisce la legge. E, come vedete, sono qua". Riccardo Menenti è un fiume in piena. La sua scarcerazione, nonostante quattro condanne all’ergastolo per l’omicidio di Alessandro Polizzi ha scatenato le polemiche e fatto insorgere, per la prima volta in sette anni, la stessa famiglia della vittima che ha manifestato davanti alla Cassazione con le foto del corpo straziato del figlio. Costringendo anche il Guardasigilli ad annunciare l’invio degli Ispettori per verificare se ci siano stati colpevoli ritardi. Ora ha deciso di parlare anche lui.

Il “polverone“, come lo chiama lei, è stato scatenato dalla sua scarcerazione... "E’ stato un giudice a farmi andare a casa senza alcun obbligo. Un giudice che aveva già previsto la mia uscita dal carcere il 19 giugno scorso per regole previste dal nostro ordinamento giudiziario (la custodia cautelare massima fissata in sei anni e 9 mesi, ndr). E’ la legge che lo stabilisce e la decorrenza dei miei termini era già stata prolungata di nove mesi. Sarei dovuto uscire ad aprile e come stabilito dal giudice senza alcun obbligo, poi dopo tutte le proteste hanno messo questa misura".

Ha mai pensato di scappare? "Come vedete sto qua. Questo provvedimento è arrivato dopo 17 giorni che ero stato liberato. All’inizio avevo la libertà totale...Non è che aspettavo il treno. Se avessi voluto...". Lunedì, su richiesta della procura generale di Firenze la Corte d’appello ha infatti applicato a Menenti l’obbligo di dimora a Todi e di firma alla polizia giudiziaria. Un modo per tenerlo sotto controllo in attesa del processo in Cassazione fissato per il 19 marzo.

Ma ritiene giusto che sia stato liberato? "Non so se sia giusto che sono libero adesso, ma so soltanto che non è dipeso da me e comunque questa non è libertà, è un proforma, un palliativo. Non c’è nessuna libertà, ed è comunque parte di un sistema che non ho inventato io".

Ma lei è stato condannato... "Avrei dovuto essere condannato per omicidio preterintenzionale, ma si è voluto credere alla verità che è stata raccontata e non a quella emersa dalle prove. Io la pistola non l’avevo con me. Nel processo si racconta che era del nonno, poi è diventato bisnonno. Sono andati per tentativi... non è che uno suppone. Tutte cose mai dimostrate".

Lei si è sempre difeso dicendo che l’ha mossa la rabbia per suo figlio. Cosa penserebbe nel veder libero l’assassino di suo figlio? "Tanto per cominciare non sono libero, pagherò per quel che ho fatto, penso spesso ad Alessandro e le cose non dovevano finire così. Ho chiesto scusa, ma non sono andato lì quella notte per uccidere".

Non ha risposto alla domanda... "Non avrei pensato solo a vendicarmi, la condanna di Valerio è già una vendetta, lui non ha fatto niente di quello di cui è accusato".

Ma ci sono stati già quattro gradi di giudizio... "E tante altre cose... Tenete conto anche della questione del Compro oro, con l’unica testimonianza di una collaboratrice di giustizia (che disse di aver sentito Valerio parlare di vendetta, ndr). Non esiste altra traccia dell’uscita di Valerio dall’ospedale, non aveva nemmeno i vestiti, era tutto sfasciato, eppure crediamo che si sia alzato e sia andato li per telefonare, ma come regge questa?".

Sì ma ci sono state le sentenze... "E allora?"

Cosa sarebbe stato giusto? "Che mi condannassero per omicidio preterintenzionale. E’ vero, ho avuto questa reazione, non ho ragionato. E la mia testa è andata dove è andata. Ma io non lo volevo uccidere. Non volevo sconti ma solo la verità. E invece si è ascoltata solo una tesi, una persona. Quatomeno poteva esserci un dubbio e invece anche la Cassazione ha inciso solo sulle aggravanti contestate".

Ora che pensa di fare? "Affronto il mio destino".

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