Leonardo Lidi: "Il mio Cechov a teatro"

Il giovane regista e drammaturgo racconta “Il gabbiano“, in scena al Morlacchi da mercoledì 30 novembre al 4 dicembre

Migration

di Sofia Coletti

"E’ uno spettacolo moderno perché ha il coraggio di essere iper classico. Non strizza mai l’occhio allo spettatore di oggi ma lo tiene sempre presente". Leonardo Lidi (foto sopra), giovane regista e drammaturgo tra i più celebrati del teatro italiano, racconta così la sua nuova sfida in palcoscenico: “Il gabbiano“ di Anton Cechov (foto sotto) che dopo il debutto in anteprima al Festival dei Due Mondi di Spoleto arriva la prossima settimana al Morlacchi. E rinsalda la felice collaborazione con lo Stabile dell’Umbria che da tempo investe sul talento di Lidi e produce i suoi lavori come “La signorina Giulia“, fresca di tre candidature ai Premi Ubu. “Il gabbiano“ è interpretato da Giordano Agrusta, Maurizio Cardillo, Ilaria Falini, Christian La Rosa, Angela Malfitano, Francesca Mazza, Orietta Notari, Tino Rossi, Massimiliano Speziani, Giuliana Vigogna: va in scena a Perugia da mercoledì 30 novembre a domenica 4 dicembre (subito dopo “Otello“) ed è la prima tappa di un progetto triennale su Cechov.

Lidi, perché Cechov?

"Perché è il massimo per ogni regista che abbia sensibilità per la recitazione e per una drammaturgia basata su personaggi, attori, emozioni e amore. Penso a Cechov fin dall’inizio del mio percorso artistico, ho deciso di affrontarlo con il Teatro Stabile dell’Umbria con cui ho una relazione molto forte, sento la stima e la fiducia del direttore Nino Marino, mi sento protetto. Confrontarsi con un autore così gigantesco richiede sincerità e libertà, con la trilogia vorrei rimettere al centro del progetto la figura dell’attore, tornare al senso pratico del teatro".

Primo atto, “Il gabbiano“. Come lo porta in scena?

"E’ la prima volta che non tocco nulla di un testo classico. Di solito metto mano alla scrittura per renderlo più vicino e comprensibile, qui non è stato necessario. Cechov ha veramente superato il tempo, riesce ad essere attaccato allo spettatore senza bisogno d’essere ritradotto. Questo spettacolo non ha grossi segni registici, è deciso dalla forza degli attori, la stessa scenografia non è impattante, è come uno spazio libero. E’ “Il gabbiano“ dall’inizio alla fine“, in costume, senza tagli. E’ uno spettacolo molto differente da tutti i miei precedenti, è un’operazione punk nella sua purezza".

Cosa la coinvolge di più?

"Le emozioni, credo sia molto importante rimettere al centro del dibattito culturale l’amore, troppo spesso ridotto a termini banali e di marketing. Bisogna ricercarlo nella sua forma più alta e il teatro ci può aiutare".

Quali sono i temi principali? E quanto li sente affini e attuali?

"Nel “gabbiano“ si parla di confronto generazionale e di famiglia, temi che hanno accompagnato tutti i miei spettacoli. Ma il motivo per cui l’ho scelto come prima tappa è il teatro, o meglio la sua forma. Cechov si interroga sulla forma teatrale corretta per avvicinarsi al pubblico e alla fine fa la sua scelta. C’è una crisi d’identità attualissima, si respira anche nel teatro di oggi".

Come proseguirà la trilogia?

"Con “Zio Vanja“ e “Il giardino dei ciliegi“, anche se ci siamo presi la liberà di percorrere la strada e vedere cosa accade. Mi sento fortunato di fare Cechov, ho una grossa responsabilità".

Intanto si gode le tre candidature al Premio Ubu...

"Sono per regia, attrice e disegno luci e mi rendono felice, è una bella soddisfazione. I premi sono punti e virgola, per interrogarsi su come andare avanti".

E’ diventato popolare recitando in film e serie tv come “Noi“....

"Mi piace molto muovermi tra teatro, cinema e tv, nel 2022 non ci si può chiudere in una bolla. Sono un uomo di teatro ma queste vacanze per progetti belli e con registi attenti mi stimolano molto e mi fanno tenere le antenne dritte sul presente".