"La disinformazione? Ora è un’emergenza"

Arianna Ciccone, organizzatrice del Festival del Giornalismo: "Il fenomeno è amplificato dai social. Bisogna riconquistare la fiducia del lettore"

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di Sofia Coletti

"Disinformazione e propaganda sono una delle grandi emergenze del momento ma il problema c’è sempre stato. E la sfida del giornalismo sta nel saperla contrastare". Va dritta al punto Arianna Ciccone, ideatrice e organizzatrice con Chris Potter del “Festival Internazionale del Giornalismo“ che oggi chiude in grande stile l’edizione della ripartenza dopo due anni di stop. In una città che brilla finalmente di presenze e di voci arrivate da tutto il mondo, il Festival si riconferma il più importante evento europeo dedicato ai media e all’informazione, capace di spaziare tra tutti i temi più attuali e cruciali dei nostri tempi. E oggi più che mai la disinformazione gioca un ruolo di primo piano.

"Il problema – spiega Arianna Ciccone – è esploso con l’emergenza mondiale della pandemia ma c’era già prima, con la crisi climatica, sono anni che lottiamo contro il negazionismo climatico. E oggi è sotto i nostri occhi con la guerra in Ucraina. Come recita un detto famoso, in guerra la prima a morire è sempre la verità".

Ma perché, quale è il motivo?

"La chiave di volta sta nella fiducia dei lettori: un argomento delicatissimo che non si può affrontare in piena emergenza ma va costruito a livello sistemico e strutturale, affrontando alla base radici e motivazioni. E’ chiaro che se i lettori non hanno fiducia nel giornalismo professionale la disinformazione prevale".

Cosa è successo negli anni?

"Per me il punto di svolta è stato nel 2003 con la Guerra in Iraq quando il mondo giornalistico internazionale, anche con le testate più blasonate, ha appoggiato la propaganda del Governo americano sulla armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Quello è stato un punto di rottura, la frattura è stata alimentata negli anni e ha portato al dilagare della disinformazione. Che attenzione, non è solo quella dei “troll” e dei gruppi organizzati dal basso. C’è anche la disinformazione governativa, calata dall’alto. Penso, ad esempio, al bombardamento dell’ospedale di Mariupol dove si sono messi in discussione anche i morti e alla strage dei civili a Bucha: il Governo russo sta immettendo nell’ecosistema informativo una quantità pericolosa di disinformazione".

Il giornalismo come può reagire e contrattaccare?

"Bisogna tornare all’Abc, al giornalismo di qualità, curare la relazione con i lettori con molta umiltà e trasparenza, stare attenti alle fonti, averne il più possibile e verificare i fatti".

Capitolo social...

"Ecco, qui c’è stato un salto di qualità perché è enorme la platea coinvolta. Da un lato i social media sono una conquista per il processo di democratizzazione del discorso pubblico dall’altro sono aumentati in modo esponenziale i rischi di essere strumentalizzati. In questi giorni i governi di Russia e Ucraina ad esempio usano i social per fare propaganda. In un contesto di guerra diventa davvero difficile navigare in questo mare di informazioni".

Anche i lettori hanno responsabilità su questo fronte?

"Certo, spesso vanno a cercare proprio le notizie che confermano le loro idee. In tal senso già uscire dalla “comfort zone” sarebbe un passo avanti. Noi lo chiediamo con severità e aggressività ai giornalisti ma lo dobbiamo chiedere anche a noi stessi come lettori".

Che fare allora?

"Ci sono strumenti di alfabetizzazione mediatica che dovrebbero iniziare dalla scuola, come già accade in Finlandia. Per questo, e lo dico con orgoglio, al Festival noi lo facciamo da anni, anche quando la disinformazione non era un’emergenza. Attraverso il dibattito con i nostri speaker e attraverso workshop rivolti ai cittadini".