"Il ‘buco’ della Diocesi? Una favola inventata"

L’avvocato Morcella, difensore di uno degli imputati nel processo sulla vendita del Castello di San Girolamo ricostruisce la gestione ai tempi del vescovo Paglia

Il presunto ‘buco’ milionario nei conti della Diocesi sotto la gestione di monsignor Vincenzo Paglia; la contestata vendita del Castello di San Girolamo, a Narni, sfociata in un’inchiesta che portò a 3 arresti e 14 indagati e che ora vede alla sbarra 6 persone; più in generale, uno dei più turbolenti periodi storici della città e del comprensorio: tutto questo è tornato a galla in un’aula del Tribunale in occasione delle ultime battute del processo relativo alla vendita in questione. L’accusa ha chiesto condanne fino a 2 anni e 9 mesi oltre a due assoluzioni, per l’ex sindaco Bigaroni e per una dirigente del Comune di Narni; ora tocca alle difese. Ha preso parola anche l’avvocato Manlio Morcella, che assiste Luca Galletti, ex direttore dell’Ufficio tecnico della Diocesi e a cui era riconducibile la Imi Immobiliare srl che, secondo gli inquirenti, avrebbe acquistato il Castello, in sostanza, con i soldi della Diocesi stessa. Morcella, già difensore dell’ex vescovo Paglia, prosciolto in fase istruttoria e che sarebbe stato riascoltato come teste, nell’arringa è partito ‘largo’, contestando la stessa esistenza del ‘buco’ finanziario. Per il legale, l’allora vescovo, in carica dal 2000 al 2012, trovò già al suo arrivo a Terni 3 milioni e mezzo di debiti, altri 3 milioni e mezzo li accumulò sgravando dall’equivalente importo le parrocchie, mentre altri 4 derivano da dodici anni di gestioni delle parrocchie in deficit, quindi un totale di circa 11 milioni di esposizione. Somma più che compensata, però, sempre secondo l’avvocato, da un apprezzamento di oltre 35 milioni del patrimonio diocesano: ottenuto sotto il dicastero Paglia con la ristrutturazione degli immobili della Curia. Paglia, continua Morcella, svolse la sua funzione anche in termini sociali ed economici a favore del territorio; ciò gli avrebbe generato inimicizie interne ed esterne alla chiesa e che per il legale sarebbero all’origine della "favola", così la chiama, del ‘fallimento’ della Curia. Quanto alla compravendita del Castello, l’operazione fu assolutamente regolare, sottolinea l’avvocato. Il Comune di Narni era in crisi e con il prezzo dell’alienazione non avrebbe perso i finanziamenti europei (il Puc); il vescovo Paglia intendeva realizzarvi un centro congressi per promuovere il turismo religioso. L’istituto sostentamento del clero anticipò i soldi (oltre un milione) che poi la Diocesi gli avrebbe restituito. A quel punto la stessa Diocesi era divenuta titolare del diritto all’acquisto del bene, che non fu esercitato per il cambio ai vertici: via Paglia, dentro l’amministratore apostolico, monsignor Ernesto Vecchi.

"Credo di aver dimostrato – dice Morcella – che Luca Galletti non ha mai agito in maniera illegale. C’è un equivoco di partenza sul ‘buco’ finanziario della gestione Paglia, ‘buco’ che tale non era, perché compensato tre volte tanto dalla lievitazione del valore patrimoniale. Tutte le negoziazioni per il Castello sono avvenute nel rispetto della legge e il Comune di Narni non ha subìto alcun danno". Nell’udienza di dicembre si proseguirà con gli interventi delle difese degli altri imputati, tra cui funzionari dell’epoca di Comune e Diocesi. Tra le accuse originarie, associazione a delinquere e riciclaggio, messe in discussione dallo stesso pm.

Stefano Cinaglia