Green pass alla francese? La proposta divide

Cinema e locali storcono il naso: "Siamo di nuovo noi a pagare il dazio". Ma i cittadini: "Il passaporto ci rende liberi e più sicuri"

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Green pass alla francese: sì o no? E’ l’argomento del giorno. Se ne parla ai tavoli dei bar, e se ne parla mentre si fanno le vasche per Corso Vannucci. Il dibattito sul passaporto obbligatorio tiene banco anche tra gli anziani: "Ottenere la certificazione – spiega una signora avanti con gli anni all’amica – è stato un gioco da ragazzi! Basta andare in farmacia. Ci pensano tutto loro. E noi stiamo più sicuri". L’esempio francese di utilizzare il green pass per frequentare i bar, i ristoranti, i musei, i cinema e i mezzi di trasporto è ora al vaglio del Governo. Intanto, per il Commissario per l’emergenza, Francesco Figliuolo, il meccanismo potrebbe dare una spinta agli indecisi del vaccino, ma al momento l’esecutivo ci va cauto e la decisione sarà presa solo alla fine di luglio.

Il certificato nel frattempo spacca la politica, l’opinione pubblica e le organizzazioni di categoria. "Il green pass – osserva Romano Cardinali, presidente della Fipe-Confcommercio (l’associazione che raggruppa i pubblici esercizi) – mi sembra una misura esagerata. Qui in Italia non ce n’è bisogno. Detto questo, per la categoria che rappresento è un problema in più. Pur essendo favorevolissimo ai vaccini non sono d’accordo. Ma se la proposta si trasforma in legge, sono pronto a rispettarla: come abbiamo sempre fatto".

Storce il naso all’idea di un provvedimento stile Macron anche Mauro Gatti, esercente cinematografico e gestore con il fratello Mirco della CineGatti, società di lungo corso del settore. "A mio avviso la lezione francese è un ulteriore limite per la nostra categoria, che già dall’inizio della pandemia ha adottato misure rigidissime per limitare i contagi. A partire dal distanziamento, all’obbligo di indossare la mascherina, fino alla drastica riduzione dei posti a sedere. Vaccinarsi è giusto, ma ancora una volta sono le categorie dei pubblici esercizi e la nostra, più delle altre, a pagare il raggiungimento dell’immunità di gregge. Andare a pesare di nuovo sulle nostre attività, significa compromettere definitivamente la ripartenza".

Piace l’idea ad alcuni cittadini. "Se il certificato verde serve a far vaccinare anche i più riottosi, con la variante delta che tra l’altro incombe e preoccupa, allora sono favorevole. E’ un’incombenza in più per tutti – osserva Roberto Segoloni – ma ne va della salute collettiva. Pertanto dico ok alla lezione d’oltralpe".

Disco verde al passaporto anche da Elisa Baroni. "Io – racconta la ragazza – l’ho già richiesto. Se limita la libertà personale? Assolutamente no. Anzi, la garantisce e va a segnare un nuovo modo di viaggiare e di intendere la socialità. Non lo trovo un mezzo esagerato nel momento in cui il vaccino è un dovere per ripartire in maniera sicura. Dunque avanti con le dosi".

Silvia Angelici