Ragazzo ucciso con un pugno, i genitori: "Giovani, la violenza non si giustifica mai"

La tragedia di Emanuele Tiberi. Parlano Simonetta e Ernesto: ’Un cazzotto fa male e può uccidere’

Ernesto Tiberi e Simonetta Di Giovambattista

Ernesto Tiberi e Simonetta Di Giovambattista

Perugia, 11 settembre 2020 - «La violenza è violenza, e invece si cerca di giustificarla in tutti i modi. Di trovare un movente, più o meno importante, che possa scusarla. Si parla di stupri e ci si chiede se ci sia stata una provocazione: la minigonna o un atteggiamento. Dovremmo essere dotati della ragione per rapportarci con gli altri, non delle mani e tantomeno dei pugni. Un pugno fa male e, quando va male, un pugno uccide". Simonetta Di Giovambattista è la giovane mamma di Emanuele Tiberi condannata a quel fine pena mai di sofferenza.

Emanuele Tiberi
Emanuele Tiberi

E ora, nel giorno in cui la Corte d’assise d’appello di Perugia ha confermato la condanna a 5 anni e 4 mesi di reclusione per Cristian Salvatori, colpevole del pugno mortale che il 29 luglio di due anni fa gli ha strappato via il figlio, accetta di parlare insieme al marito Ernesto Tiberi e agli avvocati Francesco Falcinelli e Diego Ruggeri. Con quel "cuore ormai incartato" per un figlio del mondo che ha trovato la morte nel piccolo borgo terremotato. Da Norcia a Bastia Umbra, fino a Colleferro: storie e volti differenti. Stesso strazio di chi resta. «Ci sarebbe bisogno di un esempio reale da parte della giustizia. La gente ammazza e poi lo ritrovi per strada. Liberi. Questa certezza della pena di cui tanto si parla dovrebbe diventare una certezza".

Emanuele è stato descritto in tanti modi nelle carte giudiziarie. Ma in realtà, chi era? "Io sono la mamma e potrei essere di parte. L’ho partorito a 18 anni e avrei pensato di viverlo per tanto. Rimanerne senza a 51 anni significa ogni mattina, ogni sera... ricadere lì, in quel buco. I sentimenti ormai sono incartati in questa situazione ma proviamo a vivere anche in sua memoria. Le gioie fanno anche più male male, perché lui non può. Emanuele era un ragazzo positivo, che voleva sempre fossimo tranquilli. Mi ripeteva: ’Se rispetti gli altri, nessuno ti dà fastidio’".

La sua passione era la musica.. "Diceva che la musica è un antidoto alla noia, all’isolamento. Ha girato il mondo e per lui si è mosso il mondo. Alla cerimonia funebre sono arrivati dall’Australia, dalla Svizzera. Qualcosa di importante deve averlo lasciato. Io esorto i genitori a lasciare che i ragazzi vadano per la loro strada: la verità tanto è che succede tutto ovunque, dalla megalopoli al piccolo borgo".

Emanuele era tornato a casa? "Solo per un periodo, dopo il terremoto, per starci vicini. Era un momento difficile per noi. Quando ci sono state le scosse era in Spagna e ci ha chiesto di raggiungerlo ma noi siamo rimasti".

Si è parlato di ’gioco’ maledetto per la vicenda di Emanuele. Non lo accettate... "Quando ho sentito parlare di gioco mi ha fatto male. Lo possono dire anche tutti i suoi amici: Emanuele non ha mai giocato con i pugni. Di lui posso dire tutte le nefandezze, le stupidaggini, compreso il bere. Io non lo santifico ma non ci deve essere un giustiziere. E’ questo che fa del male: la volontà di addurre un motivo".

L’imputato... "Non voglio parlare dell’altro ragazzo: è stato meno fortunato di altri ma tra esserci e non esserci ci passa. Lui almeno ha la possibilità di redimersi".

Vi ha mai chiesto scusa? "No".

C’è sempre più violenza tra i giovani? "La prima volta che sono andata dagli avvocati e si è parlato di queste chat (per ricostruire la morte fuori dalla Vineria, ndr) sono uscita demoralizzata. Non perché era emersa una responsabilità di Emanuele o perché se l’era cercata ma non è possibile che si dica in chat ’perchè era Emanuele che era mite, sennò lo avrei preso e fatto a fegatini’ e tanto altro di peggio. E’ la dimostrazione che molti ragazzi escono non per la serata con l’amico o la fidanzata ma per prevaricare, che non è una parola ma un atto, violento. Questo dovrebbe arrivare da una sentenza. Tanto un figlio non te lo ridà più nessuno: nè la condanna, né il risarcimento".

Una sentenza può rendere giustizia? "Facciamo i processi, ci sono le condanne ma a noi non cambia niente. Gli unici condannati a una sofferenza perpetua restiamo noi. Le sentenze devono servire ad altro". A uscire dal tunnel della violenza.