Lavoro, cresce l’«esercito» dei disoccupati, in un anno altri 5mila senza posto

La chimera-lavoro: Bravi (Ires) illustra una realtà terribile

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Perugia, 15 marzo 2018 - L'Umbria si conferma terra «avara» di lavoro. Ma i dati più recenti parlano addirittura di un territorio in linea con le zone più in crisi della Penisola. E quando il lavoro c’è, spesso è precario, povero e con poche tutele. Lo dicono i dati Istat, che incrociati a quelli dell’Inps denunciano una crisi occupazionale ormai in atto da anni, dove a pagare il dazio maggiore sono i giovani e le donne. Numeri su cui si sofferma anche l’Ires Cgil.

«L'Umbria – osserva il presidente Mario Bravi – la disoccupazione nel 2017 ha toccato quota 42mila unità. Nel 2016 erano 37mila. In un anno dunque si sono persi per strada 5mila posti. Da notare – prosegue il sindacalista – che continuano a diminuire i contratti a tempo indeterminato, mentre dilaga il lavoro precario e poco retribuito. Basti pensare all’impennata dei part-time: siamo saliti a 30mila contratti e tra questi il 66% riguarda le donne. Non per scelta, ma per necessità. Il caso della Perugina di San Sisto insegna. Alla luce di questi numeri, potremmo dire che l’unico dato certamente in crescita in Umbria è proprio l’aumento del lavoro senza diritti e con poco futuro».

Cosi mentre nelle regioni del Centro il tasso di occupazione rimane stabile o cresce, come ad esempio nel Lazio e in Toscana (dove si registra rispettivamente un più 1% e un più 0,7%), in Umbria, al contrario, sale il tasso di disoccupazione. «I dati Inps sulla ‘qualità’ dei contratti sono un ulteriore campanello d’allarme: 10.839 assunzioni a tempo indeterminato contro 60.952 a tempo determinato. Alta anche la schiera degli inattivi: compresi i pensionati – ricorda l’Ires – siamo intorno a 369mila persone. Questi dati indicano in sostanza che finita la politica degli incentivi alle imprese, crollano i tempi indeterminati e aumenta la disoccupazione».

«E’ evidente – conclude Bravi – che non si può costruire il futuro dell’Umbria, su cui gravano decine e decine di vertenze aperte con posti sempre più a rischio, sul lavoro incerto e povero. I dati dimostrano insomma il completo fallimento del Jobs act. Il pacchetto non ha raggiunto l’obiettivo propagandato di creare occupazione stabile e nel frattempo, a livello nazionale, ha visto andare in fumo 18 miliardi di risorse pubbliche».