Dipendente “infedele“, licenziamento corretto

Assisi, sentenza-bis: il collegio giudicante di secondo grado sancisce la legittimità del provvedimento assunto da parte del Comune

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Legittimo il licenziamento. La Corte d’appello di Perugia, sezione lavoro, ha confermato la correttezza del provvedimento assunto dal Comune di Assisi verso una ormai ex dipendente "infedele", per quanto per una cifra minima. Ai giudici di secondo grado aveva rinviato il caso la Corte di Cassazione che aveva annullato la precedente sentenza. La dipendente, assistita dall’avvocato Siro Centofanti, dopo aver lavorato nel marzo 2017 quattro giorni per otto ore e mezzo consecutive, "senza neppure fermarsi per il pranzo" era stata licenziata nel settembre del 2017 per aver compilato, nell’aprile precedente, un modulo, relativo a quei quattro giorni, che indicava un orario di uscita superiore di un’ora a quello effettivo, per un corrispettivo netto di 32 euro. Quindi, la nuova sentenza a favore del provvedimento adottato (decisione non ancora definitiva, poiché potrebbe essere presentato un ricorso in Cassazione).

Il Collegio giudicante, in diversa composizione rispetto a quello che si era già a suo tempo pronunciato conformemente in merito ai profili del licenziamento, come sottolinea l’amministrazione comunale di Assisi, "ha messo sotto la lente di ingrandimento anche l’organizzazione degli uffici e dei servizi del Comune di Assisi, come richiesto dalla Corte di Cassazione". "Ebbene, anche in questa sede il Comune di Assisi, ancora una volta difeso dagli avvocati Fabrizio Domenico Mastrangeli e Francesco Niccolini come nelle precedenti fasi e gradi di giudizio, ha visto confermare la piena legittimità del proprio operato – aggiunge ancora l’amministrazione – e la ex dipendente, la cui responsabilità era già stata definitivamente accertata dalla Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale per l’Umbria, è stata anche condannata al pagamento della gran parte delle spese legali dell’intero giudizio". La Corte dei Conti aveva chiesto alla donna un risarcimento di 200mila euro, ridotto poi, dopo il ricorso dei difensori e la pronunciazione della Corte costituzionale, a nemmeno 200 euro, a cui i giudici contabili avevano rimesso la decisione di fronte l’eccezione di costituzionalità sollevata.