Serse Cosmi e il calcio di ieri e oggi: «La storia di Gaucci meriterebbe un film»

Il tecnico si è raccontato tra aneddoti e curiosità agli studenti di ‘UniverCity’. «Sono pronto a tornare in panchina»

PASSIONALE Serse Cosmi

PASSIONALE Serse Cosmi

di DONATELLA MILIANI

Perugia, 24 novembre 2018- E’ stato il primo e fino ad oggi il solo allenatore umbro arrivato in serie A ma anche l’unico tecnico al mondo ad avere allenato il figlio di un capo di Stato (l’allora leader libico Gheddafi). Nato a Ponte San Giovanni (maggio 1958) da cui «tutto è cominciato», Serse Cosmi ha incontrato i giovani a ‘UniverCity’ raccontandosi e raccontando il calcio di ieri e di oggi. Una visione, la sua, di chi quel mondo «l’ha sempre vissuto in prima persona» e che ha illustrato più che da difensore (ruolo nel quale ha giocato) da vero e proprio ‘attaccante’. «Sento parlare di realizzare nuovi stadi – dice – ma intanto si distrugge il calcio come sport». Più che nostalgico di un’epoca felice in cui guidò una delle poche squadre italiane (il Grifo), a vincere un titolo Intertoto, Cosmi «L’uomo del fiume» come si è autodefinito nel libro pubblicato qualche anno fa insieme a Enzo Bucchioni, si pone come uno dei testimoni-chiave di quel periodo passato alla storia dello sport biancorosso come ‘l’Era Gaucci’.

Un periodo ricco di grandi novità, grazie alle intuizioni e alla capacità di anticipare i tempi dell’allora presidente e patron del Perugia.

«Uno sceneggiatore potrebbe raccontare quell’epoca e quel personaggio che ebbe la capacità di anticipare tempi e tendenze. Ad esempio, l’apertura a finanziatori stranieri così come a giocatori di Paesi come il Giappone che inserirì l’Umbria tra le mete turistiche più gettonate. Che dire poi del fatto che fu il primo ad affidare una squadra di calcio a un’allenatrice: Carolina Morace».

E poi è stato un presidente che ha scoperto Cosmi.

«Io lo dico constatando i fatti. E’ stato un personaggio in grado di aprire un’epoca diversa nel calcio italiano».

Lei di presidenti ’complicati’ poi ne ha incontrati. Ma a Gaucci deve la sua carriera...

«E’ vero. Devo ad Alessandro e a suo padre Luciano il fatto di aver creduto in me. Chi mi vide esordire in serie A nel 2000 all’inizio fu piuttosto scettico. Provenivo dalla serie C e inoltre la massima del ‘nessuno profeta in Patria’ sembrava giocare contro. E invece andò bene».

Qual è la cosa che ricorda di più di quell’esordio?

«L’attesa. Mi comunicarono due mesi prima dell’ufficializzazione che sarei diventato il tecnico del Perugia ma non avrei dovuto dire niente fino alla conferenza stampa. Credo che mantenere quel segreto perfino con mia moglie e i miei figli sia stata la cosa più difficile che ho fatto. Avrei voluto andare subito in piazza IV Novembre e gridarlo a tutti... ma aspettai»

Ha allenato tante squadre oltre al Perugia, Genoa, Udinese, Brescia, Livorno, Palermo, Lecce, Siena, Pescara, Trapani e Ascoli. L’esperienza più importante?

«Resta sempre quella con la Pontevecchio, portata dai dilettanti fino all’Interregionale e poi quella con l’Arezzo, in cinque stagioni dalla serie D alla C1».

Risultato per il quale nel ’98 ha ricevuto dalle mani di Trapattoni allora ct della Nazionale il “Seminatore d’argento”.

Nel 2000 poi è arrivata anche la Panchina d’argento. Un passionale e un motivatore. I suoi sguardi ‘stra-espressivi’ non passarono inosservati a un caratterista come Crozza.

«Una cosa che mi fece piacere, tanto che poi siamo diventati amici. Tutto avvenne con la complicità dei dipendenti del Grifo. Mister prendiamo la sua divisa, la cambiamo... mi dissero. Mi sembrò strano ma non pensavo certo che l’avrebbero data a Crozza che quella stessa sera mi imitò in tv a Mai dire gol. Trasmissione seguitissima, anche da me che quella sera però uscì a cena con degli amici. Quando rientrai a casa trovai mio figlio che ballava sul tavolo e diceva Se sbagli il crosse te devo spezza la gamba... Pensai fosse impazzito, poi capii».

E la volta che Mourinho disse ai giornali che il Livorno aveva trovato Mago Merlino per la panchina?

«Capii subito che era un complimento. Me lo sottolineò lui stesso quando ci incontrammo al ritorno nei corridoi di San Siro. Mi confidò tra l’altro che Materazzi gli aveva parlato molto di me... ».

Lei comunque è sempre stato pronto con la battuta. Vogliamo ricordare quella fatta all’Olimpico durante un’espulsione contro la Lazio?

«Gridai Forza Roma al momento di imboccare l’ingresso per gli spogliatoi tra i fischi del pubblico di fede biancoceleste»

Calciatore, allenatore, commentatore televisivo ma anche doppiatore, deejay per passione e perfino attore per caso ma non troppo (nel film Thriller “Il maestro di lingue”). Qual è il Serse che piace di più a Serse?

«Io sono innanzitutto un tecnico ma non ho mai pensatoo di abdicare agli altri aspetti della mia personalità, anzi, sono pronto a sperimentarne anche di nuovi. Mi dicono che il calcio è cambiato. Che adesso ci sono strumentazioni digitali per valutare i parametri dei calciatori, in verità sono già fuori moda, e i computer. Io rispondo che il calcio l’ho sempre vissuto in prima persona e che non serve stare h24 davanti a un pc. Serve capire e gestire certi stati d’animo dei giocatori, serve rapportarsi con loro in un modo: direttamente. Una cosa non è mai cambiata comunque: se vinci sei bravo se perdi...».

Il traguardo più bello?

«Dipende. A volte è una promozione altre è una salvezza raggiunta magari all’ultimo tuffo. Me le ricordo tutte. E il campo mi manca»

Pronto a tornare in panchina?

«Assolutamente...»