
Il caso era stato chiuso come un suicidio. Ora il servizio di «Chi l’ha visto?»
Orvieto, 23 novembre 2018 - Le forze dell’ordine lo hanno archiviato come suicidio, ma la morte di L. ha una spiegazione inquietante che porta direttamente al mondo dello spaccio di droga. Era il 14 febbraio di due anni fa quando la ragazzina di 17 anni cadeva nel vuoto dal settimo piano di un palazzo di via Agrigento a Roma. Una morte inspiegabile, così come altrettanto priva di motivazione era la sua presenza nella capitale in quella mattinata come tutte le altre in cui L. avrebbe dovuto essere a scuola a Orvieto. Nessuno ha mai capito cosa fosse successo, ma adesso un’inchiesta della trasmissione «Chi l’ha visto?» ha ricostruito una verità completamente diversa che non ha nulla a che vedere con il suicidio.
La ragazza sarebbe stata utilizzata da qualcuno come corriere della droga tra Orvieto e Roma, in particolare di hashsih. «Portava la droga, la mattina prima che morisse aveva in tasca settecento euro. Doveva portare i soldi a qualcuno« dice un suo amico, facendo all’inviato della trasmissione anche il nome dell’uomo per il quale L. avrebbe svolto quel lavoro sporco. Il giornalista riesce a contattare il presunto spacciatore, un ragazzo che con toni duri cerca di svincolarsi, ma che alla fine dice: «Io ce l’ho sulla coscienza. Non so quello che è successo a Roma perchè quel giorno stavo ad Acquapendente a lavorare. I carabinieri sanno tutto».
Quando l’inviato gli chiede se Laura spacciasse la droga per lui, risponde «Ci penserà chi ci deve pensare». L’ipotesi che emerge è dunque quella che la ragazza abbia fatto quel viaggio a Roma per consegnare a qualcuno i soldi dello spaccio. La madre e la sorella non avevano mai creduto alla pista del suicidio che, peraltro, viene smentita anche da una compagna di scuola a cui L. aveva chiesto di accompagnarla in treno a Roma proprio quella mattina.
«Mi disse che doveva fare una cosa molto importante ed era tanto contenta» racconta l’amica. La madre riferisce che L. non era stata mai a Roma eppure il portiere dell’albergo di via Agrigento ha riferito che la ragazza gli aveva detto che doveva andare al settimo piano ad incontrare una persona. Forse c’era già stata o forse aveva avuto indicazioni precise da qualcuno perchè il palazzo mostra esternamente solo cinque piani e solo chi ha percorso le scale o l’ascensore può sapere che i piani sono sette. Il suicidio è solo una verità di comodo, eppure rischia di rimanere l’unica ed ufficiale.
C.L.