Volley, Bernardi: "Orgoglioso di questa Sir" / VIDEO

L'allenatore della Sir Safety Perugia. "I tifosi sono tutti i mi cocchi"

Lollo Bernardi con i sirmaniaci

Lollo Bernardi con i sirmaniaci

Perugia, 17 marzo 2018 -   Lorenzo Bernardi, 49 anni, il giocatore più forte del XX secolo, formidabile schiacciatore di quella Nazionale che da Velasco in poi ha dominato il volley mondiale per tutti gli anni ’90, oggi vive un’altra esaltante stagione di sfide, quella da allenatore con la Sir Safety Perugia. Ha già vinto una Supercoppa e una Coppa italiana. Ora insegue scudetto e Champions.

Allora Bernardi, non ha perso il vizio di vincere a quanto pare....

«E voglio continuare con lo stesso approccio mentale di un tempo. Anche se emozioni e ruolo da giocatore sono una cosa, quelle da tecnico un’altra. Insomma, i ruoli sono diversi».

Però i giocatori che sanno di avere per tecnico un campione come lei sono più tranquilli?

«Diciamo che il saper riconoscere le dinamiche di un preciso momento di gioco molto volte aiuta loro e me. Ma è evidente che per diventare un bravo allenatore non basta essere stato un giocatore. Vale per tutte le discipline».

La pressione a certi livelli è altissima. Soprattutto quando vincere viene dato per scontato da tutti. C’è una partita che Bernardi vorrebbe rigiocare?

«Dire la finale olimpica di Atlanta sarebbe banale. E di fatto non è così. Certo, col senno di poi tutto sarebbe più facile ma io credo che anche le sconfitte, pur se brucianti, lasciano qualcosa di importante per il futuro. Rappresentano un’opportunità di crescita, un punto da cui ripartire per migliorarsi. E ribaltare le situazioni».

E’ questa la forza di quella Nazionale di ‘ fenomeni’ con cui lei ha vinto tutto ed è questo che dice alla platea di interlocutori quando tiene corsi motivazionali nelle aziende?

«Sì. Quella Nazionale, a partire da Velasco, aveva una grande forza tecnica ma soprattutto una grande potenza motivazionale che ci ha portato poi a battere squadre che sulla carta avevano giocatori probabilmente più forti, come Cuba. A certi livelli sono tutti grandi campioni, a fare la differenza non basta la voglia di vincere, serve prepararsi a farlo. Il fuoriclasse nasce così».

Velasco diceva che ’non si deve mollare mai’, è stato un buon maestro?

«Decisamente»

Di quella Nazionale tutti hanno poi avuto successo anche in altri campi, non è un caso vero?

«Infatti. Dico sempre che nell’ 89 non sono arrivati dodici extraterresti nel volley italiano. Eravamo bravi tecnicamente ma abbiamo lavorato tanto sull’ aspetto mentale che è cioò che ha fatto la differenza. Lo abbiamo poi applicato anche in altri campi. I compagni di allora? Con alcuni sono rimasto in contatto sempre, con altri meno. Uno invece, al di là di ogni retorica, lo porto sempre con me: Bovolenta. Era un vero amico oltre che un compagno di squadra...».

Le emozioni più grandi?

«Il primo scudetto a Modena, ma anche il primo Europeo nell’89. Nel privato invece l’emozione più forte è stata senza dubbio la nascita di mio figlio. Arrivai in ospedale a mezzanotte, dopo una gara giocata fuori. La sensazione di tenerezza del momento in cui lo presi in braccio resta unica...»

Suo figlio però ha scelto la pallacanestro.

«Sinceramente mi ha fatto piacere. ha praticato lo sport della la madre che ha giocato in serie A. Una maglia da pallavolista sarebbe stata pesante da portare sulle spalle...».

A proposito di mogli, si dice che dietro a un grande uomo ci sia sempre una grande donna...

«E’ così, senza Rossana non avrei mai raggiunto certi traguardi. Lei mi è stata vicina e mi ha sostenuto durante tutto il mio percorso. Ha fatto grandi sacrifici per me e nostro figlio».

Sir Perugia. Cosa è cambiato dallo scorso anno?

«Mancava solo la consapevolezza di poter vincere. Ho la fortuna di allenare grandissimi campioni che ho aiutato a fare quell’ultimo scalino. Spesso in tante squadre è quello che manca».

Ma se vincesse tutto farebbe come Mourinho all’Inter?

«Intanto bisogna raggiungere quei traguardi. Poi per me l’obiettivo è sempre stato affrontare le sfide. Quando ho vinto gli scudetti continuavo a credere che l’anno seguente avrei potuto ripetermi. Io comunque Mourinho l’ho incontrato alla Pinetina. Volevo capire le dinamiche con cui riusciva a convincere i giocatori a fare di tutto pur di raggiungere certi obiettivi. Mi stupì e ne fui orgoglioso. Sapeva tutto di me...».

Come si trova a Perugia?

«Benissimo. Qui c’è un pubblico straordinario. Correttissimo, che diventa il settimo giocatore in campo: Abbiamo avuto un feeeling immediato. E poi è bella la città, ottima la cucina, ottimi i vini. Non sono un intenditore ma mi piace degustare e abbinare. Io ai fornelli? Per lo stretto indispensabile».

Insomma, resterebbe anche se è ambito in mezzo mondo?

«Vedremo. Intanto pensiamo a fare risultati. Dobbiamo continuare a sognare. Più il sogno è grande e più grande deve essere la nostra determinazione».

Che cosa dice alle migliaia di tifosi perugini?

«Che sono tutti i ‘mi cocchi’...»