Azienda edile nei guai Evadeva l’Iva dal 2017

I funzionari dell’Agenzia delle Dogane hanno appurato che l’imprenditore avrebbe eluso il Fisco per 260mila euto. Sono scattate le sanzioni

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L’Iva, questa sconosciuta. Almeno dal 2017. È quanto ha riscontrato l’Agenzia delle Dogane a carico del titolare di un’azienda edile perugina. Dalle verifiche effettuate dagli ispettori dell’Agenzia, infatti, ammonterebbe a 260mila euro l’imposta evasa. Ipotizzate sanzioni per almeno 120mila euro.

L’accertamento, come riferisce l’Agenzia delle Dogane e dei monopoli, era partito da una segnalazione della direzione territoriale di Firenze nell’ambito dell’analisi dei rischi relativi agli importatori italiani che acquistano merce di origine extra Unione europea, acquistata in uno degli Stati della Ue e destinata al mercato italiano.

Dopo aver preso visione dei documenti contabili negli uffici dell’azienda e nello studio di un commercialista di Perugia, dove l’azienda aveva la sede legale, i funzionari del reparto antifrode hanno accertato uno scostamento tra quanto dichiarato dalle imprese dove era stato acquistato il materiale e quanto dichiarato dall’azienda del perugino.

In conseguenza di questa prima anomalia accertata, l’Agenzia ha attivato una procedura incrociata di cooperazione con l’autorità doganale della Croazia, da dove i carichi arrivavano.

Dalla verifica di successiva documentazione, è emerso che la merce sarebbe stata venduta evadendo completamente l’Iva dal momento della creazione della società, nel 2017, fino al 2020 per una somma accertata, come detto, complessiva di 260mila euro.

Iva non versata ma anche crediti di imposta non esigibili sono al centro di numerose attività di accertamento da parte degli organi preposti. Operazioni che, nelle scorse settimane, nel Perugino hanno portato al sequestro, in via preventiva, di beni e conti correnti per oltre un milione di euro.

In quel caso, in due occasioni, era stata la Guardia di Finanza ad appurare che due distinte aziende avevano messo a rimborso dei crediti di imposta non dovuti o inesistenti, sostenendo, come consente la legge, di aver effettuato dei corsi di aggiornamento.

Un modo per “alleviare“ il peso della tassazione, ma a discapito delle aziende oneste che le tasse le pagano, e quindi creando di fatto una concorrenza sleale i cui effetti, in momenti generali di difficoltà come questo, si sentono in modo ancora più pesante.

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