Perugia, 4 ottobre 2010 - "Come didos", che significa "dimesso, il contrario di una persona aggressiva". Questo modo di dire che rappresenta il Portogallo colpì molto Marco Bucaioni, che da Città della Pieve visitò a 18 anni il Paese che si affaccia sull’Oceano. Tanto da convincerlo a dedicare la sua vita alla lingua portoghese. Oggi che ne ha 29 la sua casa editrice è l’unica realtà italiana ad occuparsi esclusivamente della diffusione della letteratura in lusitano.

 

Si è appena aggiudicato una segnalazione al "Premio Monselice 2010" per la qualità della traduzione e da anni ottiene il sostegno di due ministeri portoghesi. "Il mio sogno è che le ‘Edizioni dell’Urogallo’ diventino per i Paesi lusofoni un punto di riferimento. Ripetendo quel che ha fatto Iperborea con la letteratura scandinava: quando ha iniziato negli anni ’80 era assolutamente sconosciuta. Ora vende fino a centomila copie".

 

Ma quando ha incominciato a tradurre?
"Dopo quel primo viaggio in Portogallo con mio padre mi sono iscritto all’università puntando sul portoghese. Da lì è stata per me una mania, ossessione, innamoramento e passione. Ora sono al terzo anno del dottorato in Letterature comparate con il professore De Cusatis e lo faccio a tempo pieno".

 

Ma l’idea della casa editrice quando nasce?
"In realtà ho tradotto il primo volume nel 2005, ma per liberarmi dalle case editrici a ‘pagamento’ ho deciso di fondarne una mia. E per ora lo staff è di cinque persone con sette collaboratori tra curatori e traduttori".

 

Ma c’è mercato?
"Il problema è culturale. Mentre la letteratura spagnola è riuscita a passare, e un nuovo autore dopo un mese è tradotto in Italia, per il mondo della lingua portoghese c’è un muro. L’italiano medio conosce Pessoa grazie alla lezione di Tabucchi, Jorge Amado, Saramago e Coelho. Ma tra questi autori degli ultimi trent’anni c’è una costellazione che manca. Nessuno si è messo giù a fare traduzioni. Io, invece, scelgo scrittori angolani, brasiliani, della Galizia e perfino l’unico autore di Timor Est. E stranamente le vendite vanno bene: lasci dieci copie in una libreria e dopo sei mesi ne trovi quattro. Con un centinaio di negozi. E va bene! Inoltre affacciandomi su un terreno poco battuto ho la fortuna di accaparrarmi facilmente titoli dell’establishment letterario portoghese, che nel resto del mondo sono tra i più venduti".

 

La sua scommessa è un vanto per l’editoria umbra?
"Sono entrato nell’Associazione degli editori umbri e credo che la Regione faccia molto per noi, come concerci spazi gratuiti nelle fiere di settore. Ma si potrebbe migliorare spostando il ‘core business’ sulla letteratura: purtoppo, invece, la mia è una posizione di marginalità".

 

La ricetta per resistere?
"Ho intenzione di sviluppare una serie di collaborazioni con le biblioteche e centri per la didattica con una collana di libri con ‘testo a fronte’, come ‘La Strumentalina’di Lídia Jorge. A proposito, ho appena stretto una collaborazione con l’Istituto per interpreti e traduttori di Forlì".