di Ilaria Ulivelli
Firenze, 20 settembre 2012  - Questa è bella. Ai tempi del liceo, a Matteo Renzi davano del comunista. Del cattocomunista, per la precisione. Chissà se qualcuno lo ha detto a quella parte del Pd che lo immagina un po’ un Berlusconi in salsa pop contemporanea. Studiava al classico Dante, a Firenze. Era uno dei migliori della classe, sezione A. Il testimone è Giuseppe Cancemi, professore di storia e filosofia: «Chi, quel fascistone?», ci scherzava su Renzi. Posizioni diverse, andava così. Era già un rottamatore (di professori) quando si è diplomato, nel ’93: Berlusconi si scaldava per scendere in campo e il Pci aveva già svoltato nel Pds. «Anche se io non votavo da tempo, e non si poteva dire che fossi fascista, Matteo mi era congeniale: contrastandomi con la sua forza dialettica, creava l’atmosfera migliore per fare bene il mio lavoro — racconta il prof —. Per parlare due o tre ore con trenta ragazzi di storia e filosofia, ci vuole animazione, e lui sì che sapeva farla». «Senza dubbio era già un leader — sentenzia il prof —. Un leader comunista, anzi, catto-comunista. Il maggiore esponente della lista della sinistra studentesca». La faccenda del leader è una costante della Renzi story. Lo hanno detto anche gli amici dell’infanzia e dei giochi: «Matteo era un capo e voleva vincere sempre, sennò portava via il pallone e tutti zitti». E questo, con la dialettica, checché ne dica il prof Cancemi, magari ha meno a che fare.
 

Dalla parrocchia ai lupetti tutti per uno il passo è stato men che breve per Renzino la peste, un passaggio quasi naturale: in casa, mamma Laura e babbo Tiziano, erano capi scout. La filosofia di vita era indicata. «Lui ha seguito con entusiasmo tutto il percorso da lupetto a capo: lo hanno iniziato i genitori che erano i capizona di Rignano — racconta il parroco don Giovanni Sassolini con cui Matteo ha fatto comunione e cresima, ora vicario generale della Curia di Fiesole —. Ci furono delle discussioni nel gruppo di Rignano, i genitori di Matteo finirono in minoranza e si spostarono di zona a Pontassieve. Lui era ancora un lupetto e li seguì. Conobbe a Pontassieve, tra gli scout, Agnese: ora è sua moglie».

Anche se altri biografi renziani raccontano che Agnese, Matteo l’avesse già conosciuta prima, sicuramente negli anni degli scout, del noviziato e del clan, il loro rapporto si è solidificato. «Onestà, lealtà, sincerità ed essenzialità», la filosofia scout insegna a vivere, spiega don Sassolini: «Ti puoi perdere ma ritroverai sempre la strada, perché c’è sempre una soluzione, basta cercarla». Mica poco. Tra l’altro, un Renzi poco più che ventenne, divenuto capo scout, proprio a una riunione dei capi del Valdarno, rottamò in pubblico le idee del babbo Tiziano. Due volte rottamatore prima del tempo, di prof e di babbo. «Ai tempi degli scout Matteo era una persona molto appassionata, faceva tutto con gioia, ma portava sempre spunti di riflessione utili a tutto il gruppo», racconta Matteo Spanò, presidente della Banca Credito Cooperativo di Pontassieve e presidente, designato dal sindaco e amico Matteo Renzi, del Museo dei Ragazzi di Firenze. «Aveva una grande capacità di mettersi in cammino», dice Spanò. Una caratteristica che ha portato con sé nell’età adulta.
 

Non potendo fare una carriera da calciatore al top, come le mezzale del suo cuore, abbandonata la scena da Renzino la peste e poi anche quella della pista da pattinaggio della chiesa, e infine la rosa under della Rignanese, scelse di fare l’arbitro. Un incubo per il babbo Tiziano. Che temeva per la sua incolumità fisica, insulti a parte. «Le regole erano il pallino di Matteo, le ha sempre fatte valere», racconta don Giovanni. Con Renzi, che quattro anni dopo mollò, cominciò anche il fischietto fiorentino Gianluca Rocchi, arbitro di serie A.
(ha collaborato Antonio Degl’Innocenti)
2 - continua