Nigiotti: "Fare Sanremo è stato un dono del cielo"

Il cantante livornese: ora guarda avanti: "Che orgoglio stare lì, ho cantato ciò che sentivo"

Enrico Nigiotti durante l'esibizione a Sanremo

Enrico Nigiotti durante l'esibizione a Sanremo

Livorno, 22 febbraio 2019 - Che anno magico, per Enrico Nigiotti. Il cantautore livornese, che a giugno compirà 32 anni, dopo il terzo posto a X Factor 2017 ha continuato a correre. Ha scritto per Eros Ramazzotti (‘Ho bisogno di te’) e per Laura Pausini (‘Le due finestre’), per la quale ha anche aperto il concerto al Circo Massimo. Poi il duetto di ‘Complici’ con Gianna Nannini e il grande consenso di pubblico all’ultimo Festival di Sanremo con ‘Nonno Hollywood’, decimo in classifica ma molto amato dalla gente. Nigiotti risponde al telefono poco dopo aver saputo che, a causa della grande richiesta di biglietti, il suo concerto di Firenze del 9 aprile è stato spostato dal teatro Puccini al Verdi, un palco di grande prestigio.

Nigiotti, che effetto fa dover cambiare teatro perché c’è troppa gente che vuole venire a sentirti cantare e suonare?

«Sono strafelice, una sensazione bellissima. Già aver riempito il Puccini era un successo, adesso... Per me il Verdi era un luogo mitologico. Sapere che suonerò lì...».

Dunque, cosa resta del Festival?

«Fare Sanremo è stato un dono del cielo. E poi proprio con questa canzone, puoi immaginare l’orgoglio personale. Insomma: l’album va bene, le date vanno bene… direi che Sanremo ha chiuso un cerchio e ne ha riaperto un altro».

Con ‘Nonno Hollywood’ hai portato Livorno al Festival. Peraltro un pezzo non facile. Un brano dedicato al nonno può suonare un po’ fuori moda, e invece...

«Questa canzone è quasi un film musicale, va ascoltata e soprattutto ‘sentita’. Non è un canonico pezzo sanremese, è condito da tanta emozione e se è andato bene è perché ho cantato quello che sentivo. Un po’ lo temevo, che risultasse troppo personale, ma era quello che provavo in quel momento».

Nella serata dei duetti hai perso il derby labronico: ha vinto Motta. Però il tuo, con Paolo Jannacci al piano e Massimo Ottoni come artista visuale, è stato magico.

«E’ vero, ma la serata dei duetti è una festa, canti senza ansia. Ho scelto di non portare una seconda voce perché il pezzo è così, intimo, volevo qualcuno al piano e diciamo che Jannacci lo ‘suonicchia’… (ride, ndr)».

Che ne pensi della polemica sulle giurie?

«Non mi interessa. Io poi non ho mai vinto niente, solo un premio molto importante come il Lunezia. Ma voglio dire che bisogna proprio smaniare per vincere per interessarsi a questa polemica. Comunque mentre sei lì non capisci cosa sta accadendo fuori dall’Ariston, sei come chiuso in una bolla».

Nella nuova edizione dell’album c’è un pezzo dedicato a Alda Merini, ‘La ragazza che raccoglieva il vento’. Come è nato?

«L’ho scritto pensando alla sua poetica. Sono anni che Alda Merini è una fissazione per me. Anche solo guardare le sue interviste mi dà un’emozione fortissima».

Dopo la tua notorietà da ragazzo sei artisticamente rinato dopo X Factor. Allora i talent non sono da buttare…

«Chi fa musica deve cercare la platea più vasta e oggi ci sono tre possibilità: i talent, YouTube e Sanremo. E io ai talent ho imparato tanto senza esserne però cambiato».

Anche stavolta hai rimarcato l’orgoglio di essere livornese.

«Sono attaccato alla mia città, è la mia culla, anche a dicembre fu bellissimo cantare qui. Anche se andò via la luce… ma io restai sul palco, non c’era nessuno che avrebbe potuto portarmi via di lì. Quando ero piccolo e andavo in macchina col nonno lo sentivo parlare in livornese stretto e questo mi rendeva ancora più orgoglioso della mia città».

Insomma, Enrico: sei felice?

«Sto così bene che, se anche domani dovessi cambiare lavoro, spero di essere felice come adesso».