Violoncello e voci, il viaggio di Brunello da Bach ai nostri giorni

Repertorio inconsueto all'Accademia Filarmonica Romana del solista con il Coro del Friuli Venezia Giulia

Brunello e il Coro Friuli Venezia Giulia (foto  Max Pucciariello)

Brunello e il Coro Friuli Venezia Giulia (foto Max Pucciariello)

Roma, 12 aprile 2019 - Un programma per un organico inconsueto in bilico tra presente e passato, che è rappresentato dal monumentale lavoro di Johann Sebastian Bach a cui viene fatto riferimento più volte. La proposta del violoncelista Mario Brunello insieme al Coro del Friuli Venezia Giulia diretto da Cristiano Dell’Oste, per la stagione dell'Accademia Filarmonica Romana al Teatro Argentina, ha mostrato infatti la produzione di vari autori del secondo Novecento e contemporanei lasciando però a Bach un ruolo predominante. Non solo presentando il mottetto affascinante Singet dem Herrn nein neues Lied, ma inglobando il corale Christ Lag in Todes Banden nella Ciaccona in Re minore nella versione per violoncello piccolo. L'esecuzione di quest'ultima è stata impeccabile, specie da parte di Brunello, ma chi conosce il brano (che originariamente è per violino solo) sa bene che non ha bisogno di altro se non del suo spartito. L'esperimento è comunque interessante per capire il contatto tra il Bach sacro e quello profano con la trasformazione di una danza popolare in uno dei capolavori della storia della musica.

Per quanto riguarda la parte contemporanea, è stata scelta una composizione di John Tavener per soprano e violoncello, ovvero Akhmatova songs, con solista Karina Oganjan, oltre ai brani con coro (e le percussioni di Gabriele Rampogna) di Arvo Pärt, Peter Sculthorpe, Léo Ferré e Valter Sivilotti. Questi ultimi tre, che hanno caratterizzato la seconda parte della serata, hanno simboleggiato in modo efficace il già citato rapporto tra sacro e profano sia tra le composizioni sia al loro interno. Il Requiem di Sculthorpe alterna ispirazioni gregoriane evidenziate dal coro a pagine strumentali che codificano momenti basati sull'improvvisazione, Ferré, del quale è stata recuperata la registrazione della sua voce recitante, è sicuramente un autore profano nel trattamento della forma canzone, ma assolutamente sacerdotale nel chiedere in Muss es sein il rispetto della musica. Siviotti ha invece composto un collage dove il rock di Area e Led Zeppelin convive con varie espressioni popolari in un progetto ambizioso nella sua concezione, dal risultato convincente.

Un repertorio inconsueto che ha convinto il folto pubblico accorso in teatro. Fuori programma nel segno di Bach, quasi obbligato per una fonte di ispirazione inesauribile.