I bilanci del 2020 parlano chiaro per tutti Perso il 12% del fatturato, e i ricavi calano

La pandemia ha flagellato le imprese. I settori che hanno sofferto maggiormente: tessile, abbigliamento e calzature

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La terza edizione di Top 500 Firenze prende in esame i bilanci relativi all’esercizio 2020. Si tratta di un periodo amministrativo del tutto "eccezionale", che ha risentito degli effetti dell’emergenza pandemica. A commentare i dati, il professor Francesco Giunta e il suo team, composto da Laura Bini, Lorenzo Simoni, Rebecca Miccini e dal nuovo membro Edoardo Nesi. "In questa prospettiva – spiegano - l’indagine delle prime 500 imprese fiorentine per fatturato consente di valutare le ricadute della pandemia in termini economico-finanziari sul tessuto economico provinciale. Sebbene, infatti, le prime 500 imprese rappresentino soltanto il 2,7% delle società di capitali del territorio, a esse è imputabile circa l’80% del fatturato e il 93% della ricchezza lorda —misurata dall’EBITDA— generata nella provincia. La rilevanza del campione si comprende ancora meglio tenendo conto della ricchezza che le imprese redistribuiscono sul territorio sotto forma di retribuzioni e imposte pagate, nel 2020 pari a 3,8 miliardi di euro e 880 milioni di euro rispettivamente.

Nel complesso, nel 2020, è andato perduto il 12% del fatturato e il 29% della ricchezza lorda prodotta (EBITDA) rispetto all’anno precedente. Hanno chiuso l’esercizio in perdita il 21% delle imprese, contro il 10% del 2019. Nonostante le difficoltà e in controtendenza rispetto al dato nazionale (cfr. Osservatorio sui bilanci 2020, Cerved), il numero dei dipendenti risulta aumentato, passando da 121.768 a 127.082 unità. Come già nelle precedenti edizioni, le imprese del campione si caratterizzano per un intenso ricorso all’indebitamento. Tuttavia, le difficoltà incontrate sotto il profilo economico nel 2020 non sembrano aver messo a rischio il servizio del debito, almeno per la componente relativa agli oneri finanziari". In linea con il dato nazionale (cfr. Osservatorio sui bilanci 2020, Cerved), sono le imprese di grandi dimensioni ad aver risentito maggiormente della crisi.

"Le loro prestazioni – spiegano ancora il professor Giunta e il suo team - appaiono molto significative. Si tratta, infatti, di 129 imprese che pur rappresentando "solo" il 26% del campione costituiscono il vero "motore" dell’economia provinciale, realizzando l’82% del fatturato e l’89% della ricchezza lorda (EBITDA). Guardando al fatturato, in media, la perdita è stata del 13% rispetto al 2019, mentre più pesante è stata la contrazione dei margini netti (ROS), passati dal 3,9% del 2019 al 2,6% del 2020, con una variazione di -33%. Su questo risultato sembra aver inciso molto il peso degli ammortamenti e degli accantonamenti. Nonostante la perdita dei margini, le grandi imprese sono riuscite a garantire una maggior redditività degli investimenti (3,6%) rispetto alle medie (3,1%), confermandosi più efficienti nella gestione del capitale.

A incidere sul risultato anche una maggiore propensione agli investimenti, che si è mantenuta anche durante la crisi pandemica. La loro incidenza sul fatturato, infatti, si riduce del 18% per le grandi imprese e del 30% per le medie. Dall’analisi congiunta della crescita del fatturato e della ricchezza creata, risulta una maggiore polarizzazione dei risultati rispetto agli esercizi precedenti.

Da un lato, il 36% delle grandi imprese è riuscito a coniugare una crescita del fatturato e dei margini lordi (EBITDAFatturato) anche nel 2020. Per contro, poco meno di un terzo delle grandi imprese (30%) ha, invece, subito una flessione su entrambi i fronti. Ragionando sempre in quest’ottica, le medie imprese appaiono in difficoltà maggiore, posto che solo poco più di un quarto delle 303 presenti nel campione ha registrato prestazioni in aumento sia sotto il profilo della crescita che della ricchezza creata, mentre il 35% ha subito perdite su entrami i versanti". Una chiave di lettura per meglio comprendere la polarità dei risultati è offerta dal confronto delle prestazioni dei diversi settori di attività.

"L’analisi si limita a considerare gli otto settori più rappresentativi – spiegano - che coprono il 75% del campione e l’80% del fatturato realizzato. Nello specifico (tra parentesi la numerosità): commercio all’ingrosso (102); calzatura, tessile e abbigliamento (75); automotive, trasporti e logistica (65); commercio al dettaglio (35); metallurgia e prodotti in metallo (35); elettronica e informatica (28); gommachimica e plastica (24); farmaceutico e sanità (23).

Tra questi, il settore della calzatura, tessile e abbigliamento è il più colpito dagli effetti negativi della pandemia, con un -31% del fatturato nel 2020, mentre la ricchezza lorda estratta dalle vendite (EBITDAFatturato) si è contratta del 9% passando dall’8,1% del 2019 al 7,4% del 2020. Solo il 19% delle imprese è riuscito a chiudere il 2020 con una crescita sia di fatturato che di margini, mentre il 53% ha subito una flessione su entrambi i versanti. Andamento simile nel commercio al dettaglio, con flessione del fatturato del 10% e margini lordi ridotti del 19%, passando dal 4,7% del 2019 al 3,8% del 2020.

Il 2020 è stato comunque difficile per tutti, soprattutto in relazione alla capacità di mantenere invariati i margini lordi. Anche i settori farmaceutico e sanità ed elettronica e informatica, gli unici a non subire una flessione dei fatturati (rispettivamente +o0,3% e +15%), hanno subito un’importante contrazione dei margini, pari rispettivamente al 22% e all’11%.