Tre mesi in Burkina Faso con il Movimento Shalom

La Nazione Solidale

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Il viaggio di Fabio: un’immersione nella quotidianità del Paese africano

Uno spaccato del Burkina Faso visto con gli occhi di Fabio, giovane volontario di Prato partito per il Paese africano con il Movimento Shalom. Due mesi e mezzo a contatto con una realtà poverissima ma capace di regalare tanto a chi la conosce. Un “viaggio” iniziato nel 1994, quando Fabio aveva 9 anni, con un progetto di corrispondenza con i bambini del Burkina Faso che ha creato un legame forte con l’Africa. Nel 2019, con la conoscenza di Maria ed Enrico, responsabili del progetto Madame Bernadette in Burkina e della sezione di Prato del Movimento Shalom si è concretizzata la possibilità di ‘vivere’ il Paese. «Quaranta giorni li ho trascorsi a Nouna, nel Nord-Ovest del Burkina, a circa 70km di distanza dal confine con il Mali, presso il progetto Madame Bernadette del Movimento Shalom – racconta Fabio -. L’incognita era cosa avrei potuto fare non essendo né dottore, né ingegnere, né meccanico, né elettricista. Un luogo comune, perché con spirito di adattamento e buona volontà, grazie anche alla facilità di comunicazione dovuta alla lingua francese, l’esperienza ha pareggiato le attese ed è stata semplicemente fantastica».

Un’esperienza divisa fra il Foyer Saint Joseph, che accoglie 14 bambini dai 3 mesi ai 3 anni orfani o con gravi problemi familiari, e il Bistrot L’Incontro, un ristorante che oltre a dare lavoro a dei giovani del posto, crea risorse per sostenere il Foyer. «Al Foyer il tempo volava. Giochi insieme ai bambini, parli con le educatrici che li accudiscono, semplicemente dai loro attenzioni e ricevi in cambio una grande gioia e sorrisi magnifici. Ci sono anche sette ragazzi più grandi, tra i 12 e 16 anni, con cui ho condiviso la quotidianità: i compiti, l’assistenza nella preparazione di alcune specialità “burkinabé”, il momento del gioco, il confronto e lo stupore reciproco quando paragonavamo le nostre differenti tradizioni, la speranza con cui si guarda al futuro. Inizialmente rappresentavo una faccia nuova (e “bianca”), quindi diversa, da analizzare, da studiare. Ma ci è voluto veramente poco prima che la mia voglia di condivisione venisse ricambiata con un sorriso e due braccia gettate al collo».

Oltre al tempo passato a Nouna, ci sono state due settimane nella capitale, Ouagadougou, al centro Lafi Roogo, dove ha sede l’Institut Privé Shalom, ovvero l’università creata dal Movimento Shalom per formare i giovani africani nei settori di agricoltura, comunicazione e diritto. Ma il Burkina, nei ricordi di Fabio, è stato tanto altro. «È stato guidare per km e km, guardando fuori dal finestrino e osservando uno spaccato della vita quotidiana di migliaia di persone. Una vita molto diversa se comparata alle nostre comodità, ma piena di dignità, di rispetto per l’etnia o il credo diversi dai tuoi, una vita intrisa di sudore e fatica, in cui valori come la solidarietà e la tolleranza sono da prendere come esempio». E poi dieci giorni di vita comunitaria nella casa famiglia “Casa Sara” nei dintorni di Bobo Dioulasso, gestita da Patrizia e Grazia, due donne trasferitesi in Africa da ormai più di 20 anni e promotrici di un lavoro nella campagna burkinabé. «Una realtà di accoglienza, di lavoro e di sviluppo, in continua evoluzione, che coinvolge uomini, donne e bambini del posto».

«Mi avevano messo in guardia sul “mal d’Africa” che sarebbe comparso una volta rientrato in Italia – conclude Fabio -. L’importante per me è lo spirito con cui si affrontano certe esperienze, cosa cerchiamo e il bagaglio che sono conscio di aver ereditato dalle decine di persone conosciute in questo viaggio. Perché è palese che la realtà in cui vivo sia molto diversa da quella del Burkina, così come lo stile di vita. Ed è qui che un’esperienza del genere deve influire: agire pensando al prossimo a prescindere dal Paese in cui ci troviamo, salvaguardare l’ambiente, capire che ciò che a noi sembra essere scontato o una piccola rinuncia, in realtà può diventare moltissimo ed essere una conquista per altre persone che vivono in realtà più povere».