"Così possiamo tornare a volare in sella"

La squadra fondata da Emiliano Malagoli porta in pista piloti che hanno subito incidenti gravi: "Non siamo tristi, abbiamo una marcia in più"

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di Doriano Rabotti

Su quelle curve è nata una squadra davvero speciale: è dal Mugello che ha preso il via l’avventura della Di.Di, sigla che sta per Diversamente Disabili. Ovvero centauri che non hanno accettato lo sgambetto della sorte e sono tornati in sella dopo incidenti anche gravi.

Il presidente si chiama Emiliano Malagoli, viena da Montecarlo, ma quello in provincia di Lucca, e riassume in una frase il senso di una bella storia collettiva: "La differenza, nella vita, non la fanno le cose che ti succedono. La fa il modo in cui reagisci".

Malagoli ha perso la gamba detra nel 2011 per un incidente stradale, in moto: "Aveva già fatto qualche gara in pista, la voglia di tornare è stata la scintilla che mi ha fatto superare la disabilità. E se potevo fare quello, potevo fare tutto".

Un anno dopo l’incontro decisivo con Dario Marchetti, bolognese, gran maestro della scuola piloti della Ducati: "Era il giorno in cui tornai a gareggiare, sotto il diluvio. Lui vinse la gara e mi regalò la coppa dicendomi che ero io a meritarla. E allora mi chiesi: perché solo io? Quanti sono quelli che non hanno la possibilità di fare come me? A gennaio 2013 aprii la nostra associazione – racconta Malagoli –. Vogliamo dare un’immagine diversa di noi, non siamo né tristi né sfigati né sfortunati. Anzi, i nostri disabili, tutti legati al mondo delle moto, spesso hanno una marcia in più".

Di sicuro hanno quelle che servono per correre in moto: "Ne abbiamo comprate alcune e le abbiamo adattate in base alle diverse disabilità, poi abbiamo organizzato giornate per farle provare. Con i nostri corsi abbiamo rimesso in sella qualcosa come 400 ragazzi, siamo gli unici al mondo ad organizzare un campionato italiano ed Europeo con 11 nazioni: abbiamo iniziato a Le Mans, andremo a Spa e Jerez. Ora dobbiamo mettere dei tempi di sbarramento perché il livello dei migliori è diventato molto alto".

E poi c’è la parte sociale, non solo sportiva: "Non ci sono scuole guida che hanno moto adattate come le nostre, quindi abbiamo realizzato un progetto con Bmw, di cui sono brand ambassador. Organizziamo 3 giorni di corso e poi vengono i commissari ad esaminare i candidati alla patente, a Pontedera. Inoltre andiamo a fare educazione stradale nelle scuole, sono momenti molto forti, emozionali. Ma così i ragazzi conoscono la disabilità, perché è inutile abbattere le barriere architettoniche se non abbatti prima quelle mentali".

I numeri danno la dimensione del successo: i soci sono un migliaio, a livello agonistico i piloti sono una quarantina in Italia, altri quaranta in Europa".

E sono tutti senza paura: "Non è che sia diverso, se cade un disabile o un normodotato. Per noi tornare in pista è anche modo per riprendere autostima e completare un percorso che è stato interrotto. La mamma di un ragazzo amputato che è tornato in pista grazie a noi, tre anni fa, mi ha detto una cosa che mi commuove sempre: Grazie Emiliano, mi hai ridato mio figlio".