Tre senesi e Mps una storiella da dimenticare

Pino

Di Blasio

Con il momento clou nei giorni dopo la quotazione del titolo in Borsa: ogni senese aveva nel suo giardinetto azionario un pacchetto di Mps, il titolo raggiunse il massimo di 5,20 euro, dopo l’esordio a 3,85, i premi di produzione ai dipendenti venivano pagati con stock options e la capitalizzazione della banca toccò prima i 16mila miliardi di lire, poi superò 8 miliardi di euro. La Fondazione Monte dei Paschi aveva un patrimonio di 4.500 miliardi di lire, poi anche 4 miliardi di euro.

’Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria’, fa dire Dante a Francesca nel V Canto dell’Inferno. Per questo è meglio accantonare quel tempo felice, non dimenticando mai che ’la miseria’ attuale è soprattutto colpa di scelte compiute da senesi (non solo, ma per la maggior parte), e focalizzare gli sforzi su quello che è possibile salvare del Monte che fu. Domani comincia il periodo delle decisioni, dopo un diluvio di piani, progetti, ipotesi, bluff, rilanci, polemiche e decreti. Comunque andrà a finire, che ci sia o meno il matrimonio con Unicredit, che si faccia lo spin off del piccolo Monte toscano, che si allarghi il perimetro e la Fondazione converta le sue richieste di risarcimento in azioni della ’seconda banca’, la finanza non sarà più il grande serbatoio occupazionale della città e del territorio. Bisognerà ragionare su migliaia di esuberi, anche in caso di piccolo Mps. Perché per reggere, quella banca toscana o anche umbra, dovrà snellire in maniera radicale i 2.500 dipendenti che gravitano nella direzione generale e negli sportelli senesi. Se Siena vuole ricominciare a giocare al piccolo banchiere, ripartendo dal basso, dovrà recuperare le sue virtù originarie, non pensare che Unicredit e il Governo ridiano una banca al territorio e alla politica locale che in dieci anni hanno gettato alle ortiche miliardi di euro di patrimonio.