"Tra i beni tolti ai ciechi non c’è solo Presciano"

Il presidente dell’Unione di Siena. Massimo Vita denuncia la storia. delle case e dei negozi donati. all’ex Istituto di Ravacciano

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L’articolo-denuncia su "La Nazione" sullo stato di abbandono della tenuta di Presciano da molti anni, complice anche una lunga vertenza in tribunale che coinvolge la proprietà dell’Istituto per Ciechi S.Alessio di Roma, ha scatenato diverse reazioni. Il presidente dell’Unione Ciechi e Ipovedenti di Siena, Massimo Vita, ha inviato una lettera sull’argomento. "Quel bene - scrive Massimo Vita - era stato donato ai Ciechi o meglio a un ente caritatevole che avrebbe dovuto utilizzarlo per migliorare la loro vita. L’istituto ha diverse attività che perseguono il benessere dei disabili visivi, soprattutto con minorazioni aggiuntive. Si occupa di assistenza, di formazione e di promozione. Il presidente Amedeo Piva ha dato nuovo impulso a tutte le attività di quella gloriosa istituzione".

"A Siena - prosegue Vita - esistono due realtà che dovrebbero essere a vantaggio della vita dei ciechi, ma i ciechi non ne possono godere. Una è quella di Presciano, e l’altra è quella dell’Associazione Tutela Ciechi che ha sede nello storico Palazzo Raveggi a Ravacciano". Quest’ultima realtà è nata dallo scioglimento della Fondazione Raveggi, avvenuto tanti anni fa, e gestisce numerose abitazioni e fondi commerciali donati ai ciechi di Siena o all’ex Istituto di Ravacciano. "La questione ormai annosa che ho portato all’attenzione di tutte le autorità, prefetti, sindaci, parlamentari regionali e nazionali, Agenzia delle Entrate, alla Regione e a diversi assessori di Siena, alla Magistratura e anche al Ministero degli affari Sociali - afferma Massimo Vita - sta nel fatto che quei beni donati ai ciechi e per i ciechi, non recaono alcun vantaggio alla categoria. La gestione è estremamente ristretta tra poche persone e non si permette ai Ciechi di avere voce in capitolo nella gestione di quei beni. A Siena -conclude Vita - tutti conoscono questa realtà, e nessuno sa spiegare come mai quei beni non siano messi disposizione di coloro che ne avrebbero pieno diritto, per migliorare la loro integrazione sociale".

Mario Ciofi