Coronavirus, "tornano i primi studenti dalla Cina"

Il rettore dell’Università per Stranieri, Pietro Cataldi, e le conseguenze dell’epidemia. "C’è attenzione ma niente allarmismi"

Studenti cinesi all’apertura dell’anno accademico

Studenti cinesi all’apertura dell’anno accademico

Siena, 27 gennaio 2020 - «Oggi torneranno i nostri primi quattro studenti dalla Cina, ragazzi e ragazze italiani che erano in zone molto lontane rispetto a Wuhan, l’epicentro dell’epidemia. Gli altri rientreranno nei prossimi giorni. In questa fase avevamo una decina di studenti in Cina per scambi culturali, bloccati dall’emergenza virus. Ma tutto si sta risolvendo".

Il professor Pietro Cataldi, rettore dell’Università per Stranieri, è la persona che a Siena ha una conoscenza più diretta degli effetti del coronavirus. Con 200 studenti cinesi iscritti all’ateneo, un’altra bella fetta di italiani protagonisti di scambi con università cinesi, le conseguenze di qualsiasi decisione governativa si riverberano immediatamente sulle attività didattiche e accademiche. E dalla tolda dove si tengono le relazioni con le accademie di Pechino, arriva un messaggio che è un mix di rassicurazioni e prudenze.

"La prima cosa che vorrei dire è che c’è molta attenzione sul problema ma non c’è allarme - è il prologo di Cataldi -. Meglio pesare bene le parole, per evitare che si scateni una psicosi, un allarmismo eccessivo nei confronti di studenti che sono da mesi qui a Siena, hanno superato abbondantemente i periodi di incubazione del virus".

Con la Cina che ha isolato due grandi città e annullato voli e viaggi, ci saranno effetti per gli scambi tra studenti e docenti per l’ateneo? "E’ bene che le partenze siano rallentate per qualche tempo. Meglio aspettare e capire come si evolve l’epidemia. Appena tornano tutti e dieci i nostri studenti, rifletteremo su come procedere con gli scambi".

Dovranno rimanere sotto controllo? "Erano lontani dalle zone a rischio, non hanno avuto contatti con situazioni particolari. Ma saranno accuratamente monitorati e sarà il medico a stabilire quando potranno tornare all’università. Ripeto, senza allarmi ma con la prudenza necessaria".

Avete creato una task force per il problema virus? "Task force mi sembra una parola grossa. Diciamo che c’è un gruppo di lavoro, che si è riunito anche poco fa, che radiografa costantemente la situazione in Cina. Del gruppo fa parte anche un medico competente, dell’Asl, pronto a seguire anche le direttive del ministero della Salute".

Ha sentito che molti studenti cinesi avrebbero fatto incetta di mascherine nelle farmacie? "E’ una storia che è arrivata anche alle mie orecchie, ma non mi sembra molto concreta. del resto le mascherine avrebbero anche un’utilità limitata in caso di emergenza vera".

Il 2020 è l’anno del 50° anniversario dei rapporti tra Italia e Cina; non teme ripercussioni per i programmi dell’ateneo? "Bisogna capire quale sarà l’evoluzione del virus, quando sarà disponibile un vaccino e se sarà conveniente farlo, nel caso l’emergenza diventasse pandemia. L’Italia ha aperto le relazioni con la Cina Popolare nel 1970, avevamo diverse iniziative in programma. Vorrei invitare a Siena studiosi ed esperti dalla Cina, intensificare gli scambi di studenti, incrementare le relazioni. Per ora non c’è nessun cambio di programma, ma non intendiamo correre neanche il rischio più piccolo".

Gli studenti cinesi a Siena sono spaventati per ciò che accade nel loro Paese? "E’ inevitabile, sta accadendo una cosa che ricorda l’epidemia di ‘spagnola’ esattamente 100 anni fa. Anche Federigo Tozzi morì per i postumi della febbre. Ma nel 1920 non c’erano antibiotici, né vaccini e la popolazione era stremata dalla guerra. Oggi abbiamo molti più antidoti contro una pandemia".