"Ricoveri alle Scotte, siamo vicini al picco"

Il professor Frediani, responsabile della Unità Covid: "Nella bolla ci sono 88 posti, siamo a 56. Altri ospedali ci farebbero comodo"

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"Il picco deve ancora arrivare, in termini di ricoveri almeno: oggi abbiamo 56 pazienti su 88 posti disponibili in area Covid. Quando andremo oltre dovremo espandere la ‘bolla’. Il piano di allargamento è pronto, ma, certo, se ci fossero in provincia altri ospedali per ricoveri Covid non in fase acuta, anche a bassa intensità, sarebbe per noi un grande aiuto". Il professor Bruno Frediani, responsabile di Area Medico-Chirurgica all’interno della Covid Unit, direttore del Dipartimento di Scienze mediche e dell’Unità di Reumatologia del policlinico Le Scotte, non disegna certo un quadro ottimistico.

La situazione è così preoccupante?

"Preoccupa la crescita esplosiva dei numeri e la progressione dei ricoveri. Perché questo avviene, a differenza che nella prima fase, con l’ospedale in completa attività. Mentre a marzo-aprile c’era il lockdown e il blocco delle attività ospedaliere extra Covid".

Quale è la prospettiva?

"La bolla Covid ha 88 posti e oggi ne abbiamo 56 occupati. Se andiamo avanti a 5-6 ricoveri al giorno, come sta avvenendo ora, fra 3 giorni saremo al completo. Il piano di allargamento prevede che dopo aver esaurito gli 88 posti dovremo entrare in altri spazi e di conseguenza ridurre altre attività. Se non troveremo altre sistemazioni per i pazienti Covid ne risentirà l’attività nobile del policlinico, le Unità di eccellenza delle Scotte, fra le quali i trapianti, che certo non possiamo lasciare. Avremo delle sofferenze e ne risentirà il malato cronico ad esempio, che rimarrà a casa".

Come siamo arrivati a questa escalation dei contagi?

"I passi falsi sono stati in estate. Quando ci si raccomandava di indossare la mascherina, per evitare il diffondersi del virus e l’accumulo di positivi: in estate il virus faceva meno male, ma si diffondeva comunque. E oggi, col freddo, ci si ritrova chiusi in casa o in ambienti interni con una carica virale molto più alta. Che arriva ai polmoni e esplode. Fra 15 giorni avremo il picco dei malati, quei positivi ai tamponi di oggi che avranno assorbito l’alta carica virale respirata in un ambiente chiuso".

La carica virale dei ricoverati è alta?

"Non è misurabile. Non abbiamo riscontri della forza del virus né che sia calata, ma quello che incide sulla malattia è la quantità del virus che entra nell’organismo. E la concentrazione è tanto più alta in un ambiente chiuso e piccolo. Per questo il consiglio è di non stare chiusi in casa: ovvero si sta in casa se si è malati, altrimenti bisogna uscire, fare attività fisica all’aperto, camminare, andare in campagna. L’inverno favorisce il virus perché comporta assembramenti protratti in ambienti piccoli e chiusi".

Qual è lo stato di salute dei ricoverati?

"‘Due terzi dei ricoverati hanno una polmonite in forma acuta e quindi richiedono terapia intensiva o subintensiva. Poi ci sono pazienti che arrivano in ospedale per altre problematiche e si scoprono positivi; infine ci sono gli ospiti delle rsa, i pazienti ‘fragili’, che sono i più difficili da curare. I ricoverati hanno tutte le età, da 30 a 98 anni. Nella prima fase abbiamo avuto tanti anziani e giovani non ne abbiamo visti: oggi ci sono trentenni con polmoniti e problemi respiratori importanti".

Le terapie?

"L’ombrello grande contro la tempesta infiammatoria è sempre il cortisone, a cui viene associato l’antivirale, la vitamina D, farmaci anticitochinici e antibiotici. E l’eparina per evitare che si formino trombi nelle arterie. Poi una terapia ossigeno ma non aggressiva".

Paola Tomassoni