Non si vaccina: sospesa Fa ricorso, ma vince l’Asl

Primo pronunciamento sul caso di un’operatrice sanitaria che lavora in una Rsa. Il giudice del lavoro la condanna a pagare anche metà delle spese di lite

di Laura Valdesi

SIENA

Sospesa dal lavoro e niente stipendio perché non vaccinata contro il Covid 19, pur operando in una residenza sanitaria assistita. E dunque obbligata a farsi la dose, che sia di Moderna o Pfizer, come altre categorie di lavoratori. Ma la donna il 15 novembre scorso aveva presentato ricorso al giudice del lavoro che ha emesso l’ordinanza sul caso il 12 gennaio. La prima che riguarda l’Asl Toscana Sud Est che comprende le province di Siena, Arezzo e Grosseto. Un provvedimento, quello del giudice Giuseppe Grosso (prima è stato pm a Montepulciano e a Siena) che attiene alla vicenda di una 43enne maremmana a cui ora guardano in molti per capire quale è l’orientamento sul tema alla luce dei molteplici ricorsi d’urgenza, ex articolo 700, presentati per non sottostare all’obbligo del vaccino da parte di alcune categorie di operatori, vedi i sanitari. E che farà precedente.

Il ricorso è stato respinto e la donna, assistita dall’avvocato Paolo Serra, condannata a pagare la metà delle spese di lite: 1095 euro alla cooperativa per cui lavora, rappresentata dal legale Roberto Bottoni, e altrettanti all’Asl che si era affidata all’avvocato Fabio Pisillo. L’Azienda sanitaria aveva comunicato alla cooperativa che l’addetta non aveva osservato l’obbligo vaccinale, di qui la sospensione e lo stop alla retribuzione. Si era allora rivolta al giudice chiedendo di tornare nella residenza con identiche mansioni. La norma nazionale sulla vaccinazione obbligatoria per gli operatori sanitari contrasterebbe, a suo dire, con i principi costituzionali europei in tema di libertà di autodeterminazione. Il diritto alla salute, vista la natura provvisoria della vaccinazione, definita in alcuni passaggi del ricorso ’sperimentale’, renderebbe impossibile il bilanciamento rispetto all’interesse generale.

Il giudice Grosso, ribadito che la competenza è del giudice ordinario, rileva che "la disciplina in esame sancisce l’obbligo vaccinale per alcune categorie di lavoratori con un unico motivo di esenzione costituito dall’accertato pericolo per la salute in relazione a specifiche condizioni cliniche attestate dal medico di medicina generale, escludendo implicitamente ipotesi di obiezioni di coscienza o di non condivisione scientifica dell’utilità della vaccinazione". In realtà quando l’Azienda le ha chiesto di presentare un’eventuale esenzione, per esempio, ha replicato "con una memoria contenente l’espressione di dubbi personali sulla vaccinazione, chiedendo di essere sottoposta ad esami clinici" e invitando l’azienda a rispondere a quesiti utili a suo dire a decidere se accettare o meno la somministrazione. Escluso "il contrasto con la normativa costituzionale e comunitaria", il giudice sottolinea che sussistendo l’obbligo vaccinale per questa categoria di operatori, ciò "preclude alla radice" la possibilità che "di un ordine giudiziale di riammissione allo svolgimento delle medesime mansioni". Netto Grosso anche quando evidenzia che "la questione è stata risolta dal legislatore (avallata dalla Corte Costituzionale) in prospettiva solidaristica: la libertà di cura non può estendersi al punto da mettere a repentaglio sul luogo di lavoro l’incolumità altrui".