Mustafa, il grazie della famiglia: "Siena, ci hai cambiato la vita"

La famiglia di Mustafa ringrazia il Paese. E il piccolo manda un bacio: "Ciao Italia, non vedo l’ora di giocare con gli altri bambini"

Siena, 5 febbraio 2022 - "Grazie allo Stato italiano e alla Chiesa. Abbiamo chiesto aiuto a lungo, ma il primo e unico Paese a risponderci è stata l’Italia. I medici, a casa, ci dicevano di smettere di cercare, che non c’era cura". Munzir El Nazzel ha la fronte larga e gli occhi come due olive nere. Ha 33 anni. Tre in meno di Cristiano Ronaldo, ma potrebbe essere suo padre. Per la guerra che ha visto in Siria e che gli ha mangiato una gamba, provando a divorargli pure il figlio Mustafa, nato senza gli arti a causa del gas nervino inalato dalla moglie in gravidanza. Per le rughe che gli stracciano la fronte mentre sforna un sorriso gentile e dice grazie, con l’interprete incollata fra lui e la moglie Zeynep, 25 anni, che ha sposato 11 anni fa. "Sentiamo – sorride lei – la gentilezza e la bontà di questo popolo. Vi ringraziamo per le cure che potrete offrire a nostro figlio. Ci interessa solo che lui sia felice. Nient’altro".

Sopra le loro teste c’è il crocefisso della chiesetta del centro Caritas di Arbia, frazione di Asciano dove da 15 giorni vivono dopo il trasferimento dalla Turchia. È qui che l’arcivescovo Augusto Paolo Lojudice ha organizzato ieri la prima uscita ’ufficiale’ della famiglia. Quel crocifisso ora è più d’un simbolo. "È stato un Paese cristiano ad aiutarci - dice Munzir - e questo non lo dimenticheremo mai". Con loro, oltre alle due figlie piccole, c’è Mustafa, 6 anni e l’energia della dinamite. Una tempesta che esplode tra le braccia di Munzir mentre prova a contare i giornalisti assiepati intorno a lui. "Ciao Italia, siete tanti" se la ride. "Voglio andare a scuola con gli altri bambini e guidare una macchina". E quando Munzir gli domanda cosa gli piaccia dell’Italia, al piccolo spuntano le fossette. "I dolci sono buonissimi, ma sono sempre stato in casa". Poi l’ultima parola prima di tornare in casa dalle sorelline: "Dio è grande, grazie Italia".

Quel sorriso, impermeabile all’orrore, ha stregato un anno e mezzo fa il turco Memhet Asla, veterinario nella vita, fotografo per passione. Lo scorse in un rifugio per profughi siriani in Turchia. Non se lo lasciò scappare. Il suo scatto che immortala Munzir e Mustafa mentre giocano intitolato ’Hardship of life’ ha vinto il premio assoluto del Sipa. "Quella foto – racconta Munzir – ha cambiato la nostra vita. Il mondo ha sentito la nostra voce. Fu tutto casuale. Mi ha visto mentre stavo giocando con mio figlio, noi non sapevamo niente. Dopo che Aslan ha fatto la foto è sceso dall’auto e ci ha chiesto di fare un’intervista".

Ma la famiglia parla anche del suo passato, quello che si è perso con i documenti al confine della Turchia dopo la fuga dalla città di Idlib in Siria, dove vivevano. Lì una bomba esplose nella loro vita, mentre camminavano in un bazar. "Avevo dei terreni da coltivare e mi ero iscritto all’università, volevo studiare legge e diritto per contestare la guerra civile in Siria". Poi l’esplosione. Dopo un anno e mezzo è arrivata l’altra esplosione, quella della foto di Aslan, portata e voluta a Siena dal direttore del Sipa Luca Venturi: il primo a mettersi in contatto con la famiglia e offrire un’aiuto con una raccolta fondi da nata su Gofundme che oggi conta 166mila euro. Tra 15 giorni la famiglia potrebbe già partire per il centro protesi Inal di Budrio e fare il primo passo verso una nuova vita. "Sarà un cammino lungo quello per tornare a una vita normale. Mustafa – dice l’arcivescovo Lojudice – può essere l’emblema di una battaglia contro la guerra e di una maggiore attenzione verso i minori. A lui chiedo di essere il simbolo di questo cammino di tutela verso i più piccoli per cui la Chiesa e questa citta si impegnano continuamente".