"Monoclonali e professionalità mi hanno salvato"

L’enologo Alessandro Cellai racconta la sua ‘battaglia’ contro il virus alle Scotte. "Mi ricredo, la sanità pubblica da noi funziona bene"

Alessandro Cellai

Alessandro Cellai

di Laura Valdesi

SIENA

"Ammetto di non essere mai stato un paladino della sanità pubblica ma dopo l’esperienza fatta posso dire, con grande gioia, che almeno nella nostra provincia funziona". E’ tornato a casa da qualche giorno, Alessandro Cellai, enologo di fama, direttore generale di ‘Vallepicciola’, consulente del Gruppo Castellare, oltre ad avere un’azienda a Castellina in Chianti ed essere fratello della bellissima Cristina, seconda a Miss Italia nel 1998. Ha contratto il Covid 19. E racconta il suo percorso "perché – spiega – la testimonianza vuole essere un segno di speranza e conforto per tutte le persone che purtroppo, come me, hanno avuto e avranno questa brutta malattia. Vorrei rassicurarli che non saranno mai soli e tanti angeli custodi si prenderanno cura di loro".

Andiamo per ordine, quando inizia l’odissea?

"Ho scoperto di essere positivo il 23 marzo e, dopo qualche giorno senza sintomi, ecco la febbre alta e le difficoltà di respirazione. Grazie al lavoro straordinario dei medici Usca, che hanno monitorato costantemente, il 2 aprile si è reso necessario il ricovero".

E’ ricorso anche ai monoclonali?

"Dopo i primi giorni di febbre, sì. Per questo ringrazio l’équipe del professor Menichetti di Pisa ed il professor Falconi che si è occupato personalmente dell’infusione. Credo che questi, unitamente alla mano divina, sono infatti profondamente religioso, hanno rallentato il progredire della polmonite permettendo così un migliore recupero".

Il viaggio da casa alle Scotte, torniamo al 2 aprile, è stato pieno di pensieri.

"Temevo soprattutto di essere abbandonato a me stesso, ma non è stato così. Pensi che arrivato alle Scotte alle 20.25 dopo 10 minuti di attesa sono stato accompagnato nella ‘bolla’ di una piccola stanza isolata con pareti di plastica dove medici e infermieri hanno inquadrato il mio caso. Analisi, saturazione, raggi al torace e quanto serviva. Alle 23 il verdetto: ‘Ha una broncopolmonite bilaterale e sarà ricoverato’. Dopo un’ora e mezzo ero già in reparto. Un dottore bravissimo mi ha sistemato la mascherina dell’ossigeno dicendo che avrei dovuto ripetere l’emogas e che se fosse andata migliorando sarei rimasto così, altrimenti avrebbero valutato l’uso del casco. Cosa che, confesso, mi preoccupava moltissimo".

E’ andata bene.

"Per fortuna niente casco. Non ero mai stato ricoverato in vita mia ed esserlo nell’era del Covid suscitava timori per la malattia ma anche per la perdita di contatto con le persone care".

Qui entrano in scena nuovamente i sanitari delle Scotte.

"Esatto. Non finirò mai di ringraziare dottori, infermieri, tutto il personale per la straordinaria professionalità con cui si sono presi cura di me. Ma anche per la loro umanità, lo sottolinei. Persino le addette alle pulizie avevano parole di conforto. Infermieri sempre pronti a dare consigli e fare coraggio, i dottori a dare spiegazioni. Ricordo anche chi è addetto alla preparazione e distribuzione del cibo: tutto sempre perfetto e buono. Insomma, mi sono sentito circondato da tanti angeli custodi che porterò nel cuore e pregherò per loro, vengo da una famiglia religiosa che ringrazio per avermi dato questo insegnamento".

Insomma, nonostante la malattia e il ricovero, un’esperienza umana che resterà impressa nel suo cuore.

"Proprio così. Auguro tanta salute a tutti, dono inestimabile. Solo quando manca ne comprendiamo il vero valore".