La telefonata che condannò la Mens Sana. Nuovi retroscena sul fallimento

Dalle carte dell’inchiesta emerge come già prima del fallimento il destino fosse segnato

Un momento della finale scudetto persa da Siena quando ormai il destino della società era segnato

Un momento della finale scudetto persa da Siena quando ormai il destino della società era segnato

Siena, 8 febbraio 2018  - La Mens Sana  si poteva salvare. Questo il retroscena svelato da Ferdinando Minucci nell’intervista di ieri a La Nazione. L’ex deus ex machina della società biancoverde – che andrà a processo il 9 aprile per numerosi reati, fra cui frode fiscale e bancarotta fraudolenta – ha deciso di rompere il silenzio quattro anni dopo il suo arresto anche per contribuire a ricostruire una delle pagine più controverse della storia recente di Siena; appunto il fallimento della Mens Sana e le conseguenze che ha avuto sulla città. Ebbene, dalla carte dell’inchiesta emergono numerosi elementi che vanno nel senso di quanto detto da Minucci. Una su tutte è la trascrizione di un’intercettazione telefonica fra Minucci e un alto dirigente del Monte (di cui omettiamo il nome per rispetto, in quanto comunica solo decisioni non sono sue).

Sono  le 17,25 del 3 dicembre del 2012 e casi come questi le date hanno il loro valore. Dieci giorni prima del deflagare dell’inchiesta Time Out (il primo blitz della guardia di finanza sarà il 12 dicembre 2012) e Minucci sarebbe stato arrestato un anno e mezzo dopo (8 maggio 2014). Bene, leggiamo cosa recitano gli atti.

Minucci: “xxx!”

Dirigente: “Ti disturbo?”

M: “No, mai xxx, dimmi”

D: “Eh, no, dico, ci possiamo vedere?”

M: “Sì, che è successo?”

D: “Vuoi che te lo dico per telefono o a voce?”

M: “Dimmelo, dimmelo”

D: “No... Mi ha detto Fabrizio (Viola, ndr) che i premi non verranno pagati.

M: “Come non verranno pagati i premi?”.

D: “Eh... Siccome sono a sua discrezione, dal contratto, allora hanno fatto il budget e dice quello che si può tagliare si taglia, e... bisogna taglia’ i premi”.

M: “Ma credo sia uno scherzo vero questo?”.

D: “No, ma che scherzo, purtroppo, che scherzo”.

M: “Ma... Oh, ci volete fare chiudere, va bene, se è quello che si vuole, io però lo dico questo è, cioè, sia chiaro, perché io non posso pagare gli stipendi, perché io i premi dell’Eurolega e dei quarti di finale del campionato li ho spesi, quindi bastava dirlo all’inizio dell’anno, no ora quando si ottengono i premi, però... Va bene, se questo è il sistema ‘xxx’, ok, va bene così”.

D: “... si capisco”.

M: “Ti ringrazio”

D: “Ciao”.

M: “Ciao”.

E’ in questo  preciso che la Montepaschi Basket ‘muore’, trascinando con se i titoli sportivi vinti e sooprattutto l’iscrizione al club dell’Eurolega che avrebbe consentito senza il fallimento di disputare la massima competizione continentale.

Minucci appena chiude la telefonata con il dirigente della banca avvisa immediatamente il sindaco, all’epoca Franco Ceccuzzi, e i vertici della polisportiva. Sono telefonate brevi e coincise dalle quale traspare come l’ex dg abbia ben chiaro come per la società biancoverde il destino sia segnato.

Il campo, lì per lì, direbbe il contrario. Perché nel 2013 – pur con un budget dimezzato già inizio stagione e poi ulteriormente eroso dalla decisione della banca di tagliare i premi – arriva l’ottavo scudetto. Anche la stagione successiva, sebbene tra mille difficoltà, si chiuderà con la sconfitta in gara-7 della finale scudetto contro Milano. Il fallimento vero e proprio arriva più di 14 mesi dopo la telefonata del dirigente montepaschino a Minucci: è infatti il 21 febbraio del 2014 quando il cda boccia il bilancio dell’anno precedente (palesemente penalizzato dal taglio dei premi e dai ridotti budget) e mette la società in liquidazione.

Una «fine», però, che carte alla mano si capisce bene come abbia avuto inizio molto prima e di fronte alla quale nessuno in città ha saputo (o voluto opporsi) per salvare quel che c’era da salvare della storia biancoverde.