La Liberazione è dignità culturale ed economica

Occorre lavorare sulla nostra società come venne fatto nell’immediato dopoguerra. La nuova sfida al di là di retorica e retaggi ideologici

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di Massimo Biliorsi

SIENA

Sarà un caso, ma la Liberazione coincide con la stagione della rinascita, la tarda primavera. Un momento di passaggio che viene da molto lontano perché la storia ama ripetersi.

Scriveva infatti Eschilo: "Attendo dagli dei la liberazione da questo fardello, da lunghi anni ogni notte dal tetto degli Atridi, appoggiato come un cane sui gomiti, contemplo i convegni notturni degli astri, e quelli che portano inverni e quelli che portano estati agli uomini, sovrani corruschi dell’etere e il loro levarsi e il loro tramontare. E sono ancora qui a spiare il segnale, il guizzare del fuoco che porterà Troia la voce della vittoria".

C’è tutta una cultura nelle nostre terre che guarda alla rinascita dopo la dittatura. I racconti si mischiano alla leggenda. Grazie a questo passaggio epocale il novecento si era proposto come il secolo della grande liberazione dell’uomo. Francesco Burroni, autore ed interprete scenico, ha interpretato questo tema molte volte e in forme diverse. Sono le sue parole che ci descrivono il senso della memoria: "Allora c’erano le dittature, il fascismo, il nazismo, le torture, i campi di concentramento, la seconda guerra mondiale con i suoi 56 milioni di morti.

E purtroppo le guerre ci sono ancora oggi e ancora oggi sarebbe facile dire che l’essere umano è una bestia per sua natura violenta e assassina, che il sonno della ragione genera mostri, che basta grattare un poco la pelle per far venir fuori il pelo dello scimmione crudele che è in noi e che non c’è altro da fare che rassegnarsi alla tragedia umana. Ma in quei giorni non c’erano soltanto i nazisti e i fascisti. In quei giorni ormai lontani c’erano anche quei ragazzi che scelsero il bosco ben sapendo di rischiare la vita. Scelsero di lottare per la libertà di tutti e per combattere l’orrore del nazifascismo, ma anche e soprattutto per dimostrare a sé stessi e al mondo che l’essere umano non è un mostro.

Che mostro lo può diventare e che a volte i mostri possono essere anche tanti, tantissimi ma che non è quella la verità e il destino dell’uomo. E ci volevano i partigiani, che allora erano senz’altro un’esigua ma tenace minoranza, per ricordarci che l’essere umano ama la bellezza, la libertà, la gioia, la vita".

Che valore ha oggi la Liberazione, oltre ogni retorica, oltre ogni inutile retaggio ideologico? Si deve lavorare nella nostra società come fu fatto nell’immediato dopoguerra. Allora uno degli obiettivi principali fu l’eliminazione dell’analfabetismo. Nelle campagne ben il 75% della popolazione lo era, soprattutto i contadini non sapevano né leggere né scrivere. Anche nelle città si arrivava al 60%. Pochi anni più tardi soltanto il 10% era analfabeta. Oggi la vera liberazione è mettere la persona in condizioni di avere una propria dignità sociale, culturale ed economica. Una necessaria guerra non più rimandabile.