’La giarrettiera’, Palio, sesso e gialli

Il talento di Biliorsi in una ’graphic novel’ molto ardita, anche grazie alle tavole ’hot’ di Manganelli

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Massimo Biliorsi ama il mistero, meglio se condito di eros. Di lui non si contano le storie, le guide, i pezzi giornalistici che hanno a soggetto frammenti di una Siena avvolta nell’ombra, custode di vicende ieri come oggi indecifrabili. Anche il Palio che mette in scena è sminuzzato in una miriade di aneddoti e non è esente da questa passionaccia di fondo. Brevi cronache a margine le sue: la turbolenta accoglienza di un drappellone sta alla pari con il trionfo imprevisto di un fantino all’esordio, il ricordo di un personaggio celebre accanto alla ricostruzione di una strategia memorabile.

Una vena spigliatamente bozzettistica schiva toni aulici e solenni, e la scrittura segue volute e svolazzi e svolte che la riscattano dall’ovvietà. La sua attrazione per il noir e per le inquietanti trame non ha niente a fare con la compiaciuta ricerca del magico e tanto meno con il sacro delle leggende. Era da prevedere che prima o poi si cimentasse, da sceneggiatore di talento qual è, in una ’graphic novel’.

Non si tratta di un genere del tutto assimilabile al fumetto, né per ritmo di dialoghi, né per organicità della materia. Dà gran rilievo alla grafica, appunto, ad un disegno incaricato di trasmettere torbide atmosfere e saporose sorprese. Così, partendo da un’idea di Carlo Covati e in compagnia di Riccardo Cerpi, Riccardo Manganelli (elegante disegnatore) e Daniele Capperucci, Massimo ha dato alle stampe per il Leccio ’La giarrettiera’, con risultati di ardita finezza. Ardita perché le figure a tema sessuale abbondano, fine perché la vicenda è piena di riferimenti all’altri ieri: la Siena degli anni Settanta, dominata da "una borghesia – si legge nella didascalia introduttiva – allenata al ‘si dice che…’". Il vizio non è morto, si è anzi ingigantito. Nel palio che ha per eroe Ciuffo i retroscena della carriera si mischiano con malcelati rapporti amorosi, l’inchiesta giudiziaria con azzardi di facoltosi notai. L’effetto nostalgia è sollecitato immettendo nelle sequenze ritratti popolari. Chi non riconosce Linda che, affacciandosi dal suo ligneo sgabuzzino, non si esime dal commentare il giornale richiesto: "Eccoti ciccino, una prima pagina così a Siena non si era mai vista". Non mancano il prete Bani e il generale Barbarulli e il notaio Ginanneschi. Per essere fedele all’immaginario inciso nella mente spesso si ricorre alle foto di Augusto Mattioli. E l’album diventa anche un oggetto da sfogliare con punte di commozione. Perdipiù il disegno imita con originalità il Crepax che amammo su Linus. E la scoperta del segreto del “pasticciaccio brutto” combinato la si deve a un minimo dettaglio, a un barbero, e all’evocazione di una giostra che risale ai primi del Novecento, a quando la festa indossò fogge neorinascimentali e si fece spettacolo piacevole proprio per quanti la sognavano in un mondo di congiure e ambizioni.

Roberto Barzanti