"La casa dei topi", romanzo di Elena Brandi Castellani

Un affresco che si avvicina alla narrativa sudamericana. Vie le reminescenze senesi e toscane

Gli scrittori che si dimenticano il loro precedente lavoro e cominciano un nuovo percorso, non possono che essere dalla nostra parte. Così Elena Brandi Castellani con il suo "La casa dei topi" (Extempora), lascia tutte le reminescenze senesi e toscane, e si inoltra in un autobiografico percorso fatto di reminescenze, di colori molto più tenui, di nostalgie. Questo romanzo è un sentito affresco che si avvicina molto allo stile della conosciuta narrativa sudamericana: lo fa per stile, per andamento di trama, per quei "fantasmi" che agitano la protagonista. "La casa dei topi" è una esplorazione nella soffitta dell’inconscio fatta con grazia e poesia. La sua certezza che tutti hanno un "Cent’anni di solitudine" da offrire. "Avevo la convinzione, fino a quel momento, che chi vive di ricordi è perché nel presente non ha più niente da dire. Mi sbagliavo": qui sta il senso di questa narrazione fortemente lirica, offrendo il giusto peso a quello che siamo stati, all’infanzia, al viscerale rapporto con la nonna, ma senza mai cadere nella retorica dei tempi andati, da scrittrice lucida e coinvolta con assoluto equilibrio. Probabilmente "La casa dei topi" è una scrittura che l’autrice doveva a se stessa, non tanto a quello che siamo ma a quello che si diventa.

Massimo Biliorsi